martedì 22 marzo 2022

Il deepfake e il suo ruolo nella guerra Russia/Ucraina

In questo mondo cibernetico, sempre più spesso il reale si incontra con l’irreale. L’intelligenza artificiale in questi anni ha portato alla ribalta, il concetto del deepfake, un complesso algoritmo che se sfruttato male porta con se conseguenze disastrose in grado di rovesciare governi o influenzare i popoli e persino perdere una guerra.

Il deepfake: come si applica ai conflitti 

Tutti conosciamo le fake news, notizie totalmente inventate o alterate che circolano in web. La tecnologia ha dato un’ulteriore spinta a questo fenomeno tramite il deepfake. Ma che cos’è il deepfake?

Il deepfake è una tecnica per la sintesi dell’immagine umana basata sull’intelligenza artificiale. Questa tecnologia, grazie all’uso delle tecniche di machine learning è in grado di sovrapporre delle immagini e degli audio esistenti a nuovi contenuti, per condividere un messaggio alterato. Sebbene, nella legalità, questa particolare tecnologia sia stata prevalentemente utilizzata per scopi satirici, nel mondo del dark web è usata per compiere atti di cyberbullismorevenge porntruffe e fake news.

Il recente conflitto in Ucraina si sta combattendo anche in rete, Infatti, numerose agenzie di sicurezza informatica stanno cercando di proteggere i propri sistemi dai cyber attacchi russi. Il contrattacco russo, inoltre, passa anche per la condivisi one di propaganda e fake news per plasmare il pensiero del popolo. Ma non solo, gli hacker del Cremlino si sono serviti del deepfake, per creare un falso video del Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy che invita il suo popolo alla resa. Le major di internet hanno immediatamente rimosso il video da internet per evitare la propagazione del messaggio alterato nella popolazione ucraina. E subito, anche lo stesso Presidente ucraino ha smentito sulla sua pagina Instagram la veridicità del messaggio condiviso in rete. Questo conflitto è stato il primo a usare i media digitali come arma e come mezzo di comunicazione diretto. Il Presidente ucraino, infatti, usa i social network per parlare con il suo popolo. Dall’altra parte i russi hanno abbandonato i vecchi sistemi di propaganda usati nella guerra fredda per modernizzarsi e adottare le più moderne tecnologie (come il deepfakeper veicolare i loro messaggi. E quindi, con l’introduzione, per la prima volta, del deepfake in un contesto bellico è chiaro che la guerra in futuro sarà sempre più digitale

Ripreso a cura di Nino Caliendo

da Vivideo Virgilio

domenica 6 marzo 2022

Paura e processo di asinizzazione delle masse: due malattie perfette per il dominio

Pietro Ratto

La malattia perfetta? Quella che non si sa come sia nata, come si affronti, come si curi.

La malattia che si associa a mille altre malattie. Che può esser causa di tutti i possibili sintomi. Che non finisce mai, che produce conseguenze a ripetizione, che lascia uno strascico infinito.

La malattia molto contagiosa, assolutamente insidiosa, che puoi avere anche senza saperlo. Che solo il “sistema” ha modo di diagnosticare. Che solo con un approccio preventivo, ufficiale, indefinitamente reiterato e standardizzato, nei confronti del quale è pretesa un’adesione acritica e una fede cieca, può essere affrontata. Che solo un cocktail di norme rigide, confuse, mutevoli e contraddittorie può regolamentare. 

Una malattia burocratica, la cui gestione è sottratta ai medici e affidata agli archivi elettronici. Che non riceve assistenza dagli ambulatori, ma dai call center. Che va trattata con questionari e con quesiti a cui rispondere a distanza e non con auscultazioni e visite specialistiche.

Una malattia che paralizza e disattiva il sistema sanitario pubblico a vantaggio delle grandi catene di cliniche private. Una malattia che crea isolamento e divisione, diffidenza e disprezzo. Una malattia che serve a imporre restrizioni e sottomissioni. Che produce discriminazione e sottrazione sistematica di ogni diritto e di ogni libertà personale. Che impone il potere di polizia, la criminalizzazione del dissenso, la delazione e il tradimento. Che richiede lo stato di emergenza, l’uomo forte al comando, la sospensione delle norme costituzionali. Che comporta l’allontanamento sociale dei dissidenti, il disprezzo pubblico verso i dubbiosi, la perdita del lavoro per chi non si allinea.

La malattia che distrugge le piccole realtà imprenditoriali, consegnando il loro giro d’affari, frutto del lavoro di decenni o addirittura di secoli, a gigantesche multinazionali nate ieri e già in cima all’economia mondiale. Che produce quantità industriali di disoccupati, assicurando risparmi stellari al sistema pensionistico statale e accelerando vertiginosamente quel processo di automazione produttiva che porterà, quanto prima, alla piena sostituzione della macchina all’uomo.

Macchine che obbediscono senza chiedere. Che non necessitano di illuminazione, riscaldamento, assicurazioni sugli infortuni, tutele sindacali, contratti, stipendi. Macchine che eseguono senza dissentire. Senza scioperare mai. Una malattia che sbatte fuori dalle scuole gli insegnanti più critici, che forma i giovani alla sudditanza e alla paura. Quella paura sulla base della quale ogni popolo può esser dominato e asservito al potere. Quella paura della morte, che soltanto una malattia perfetta come questa può risvegliare e mantener costante in ogni singolo attimo della giornata.

La malattia perfetta. Quella che non inizia e non finisce. La malattia che scava una profonda e fredda tomba, una volta per tutte, nell’esistenza vuota di chi ha ucciso per sempre, dietro ai suoi occhi ciechi, ogni attitudine al Pensiero.

Pietro Ratto

“La malattia perfetta”

dalla pagina Facebook di Ratto: “Bosco Ceduo”

Testo e immagine ripresì da: Idee Libre


sabato 26 febbraio 2022

Spread, Isis, Covid: e se la guerra russa mettesse fine alla farsa?

«Candidate Putin al Nobel per la Medicina: in sole 48 ore ha debellato il Covid, facendolo sparire dalla faccia della Terra». Così recita un “meme” che sta circolando sul web, mentre la popolazione di Kiev assiste con angoscia alla guerra improvvisamente riesplosa nelle strade dopo la finta rivoluzione del 2014. Allora, i cecchini sparavano sulla folla inerme, perché venisse incolpato il morente governo filo-russo di Viktor Yanukovic, detronizzato dalle truppe “colorate” di Obama e Soros. In campo c’erano anche le milizie (con tanto di bandiera nazista) che in quei giorni bruciarono vivi i sindacalisti di Odessa, asserragliati nel loro palazzo e intenzionati a resistere a un golpe bianco che si stava drammaticamente tingendo di rosso. Riecco dunque la guerra classica, a rubare purtroppo la scena: il vecchio spettacolo orrendo (bombe, missili, cannonate) rispunta dopo due anni di guerra subdola, asimmetrica e mediatica, combattuta contro la popolazione mondiale – in particolare quella occidentale – in nome di una presunta emergenza sanitaria, con l’obiettivo di cambiare i connotati dell’umanità.

Oggi, gli analisi più onesti si sforzano di leggere gli eventi in termini tradizionalmente geopolitici riconoscendo le ragioni del risentimento russo, dopo il tradimento – da parte degli Usa – risalente ai tempi dei Bush: non era affatto previsto (anzi: era solennemente vitetato) che la Nato venisse estesa ai Paesi Baltici, alla Polonia, a Romania e Bulgaria. Figurarsi poi all’Ucraina. Negli ultimi decenni, la Russia è stata costantemente accerchiata e attaccata: in Cecenia e nel Daghestan, in Georgia, in Siria. La minaccia – spesso affidata anche a manovalanza terroristica – ha scosso l’Armenia, si è introdotta in Kazakhstan; la stessa mano ha tentato di abbattere il regime bielorusso di Lukashenko, satellite di Mosca, fiero avversario della narrazione “pandemica”. Anni fa, in previsione delle Olimpiadi Invernali di Sochi, Vladimir Putin rivolse all’Occidente uno storico appello: mettere da parte il passato e provare a diventare veri amici, in una prospettiva di collaborazione senza precedenti. Obama rispose con il gelo, poi con il “regime change” a Kiev, mentre i tagliagole dello Stato Islamico terrorizzavano la popolazione siriana.

Il blocco atlantico ha le carte in regola, per dettare le sue condizioni: dopo aver raso al suolo l’Iraq e l’Afghanistan, facendo volare lo jihaidsmo, gli “esportatori di democrazia” hanno distrutto un altro paese, la Libia, e assassinato l’ennesimo leader locale in grado di arginare i Fratelli Musulmani. Qualcosa del genere accadde anche in Egitto con la caduta del despota Mubarak, dopo il discorso incendiario di Obama. Ed era solo l’antipasto per arrivare all’altro bersaglio grosso: la Siria di Bashar Assad, figlio di Hafez Assad, un tempo alleato di Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi. Una cancrena inarrestabile, quella del terrorismo pilotato, che invece è stata poi arginata proprio dalla Russia. E’ lo stesso potere che – anche attraverso la Bielorussia – si è opposto alla dominazione Covid, denunciandone il carattere golpista e corruttivo. Lo stesso Putin si è distinto anche nello smascherare la distorsione politica messa in piedi, sempre sulla base di menzogne, per trasformare la crisi ecologica del pianeta in un progetto autoritario, se non totalitario, cavalcato dalle élite finanziarie dell’Occidente.

Probabilmente mai, negli ultimi cent’anni, si era scesi così in basso: l’impero marittimo euro-atlantico, mercantilista e bellicista dietro il paravento della democrazia e della libertà (in casa propria), dopo le atomiche sui civili di Hiroshima e Nagasaki deve ancora scontare l’infame, sanguinosa menzogna dell’11 Settembre, e oggi parla attraverso l’ometto finito alla Casa Bianca nel 2020 in mezzo al colossale imbroglio del voto postale e dei software di Dominion. E’ esattamente il potere che ha trasformato la Cina nel paese-mostro della tessera a punti che misura la buona condotta del suddito, il potere che – d’intesa coi cinesi – ha trasformato un ipotetico virus (mai isolato biologicamente) in una micidiale arma di distruzione di massa: distruzione sociale, politica, economica, psicologica. E’ il potere che ieri usava lo spread e oggi il Tso, i lockdown, i coprifuoco, il Green Pass. Il potere che finge di idolatrare Greta, per imporre la sua legge possibilmente con le buone, ma – nel caso, come si è visto – anche con le cattive. Ora, in modo drammatico, le cannonate russe sembrano interropere questa farsa mondiale, fondata sull’ipnosi. Nessuno azzarda previsioni precise, sugli eventuali sviluppi dell’improvviso cambio di copione. La sensazione, però, è che un’intera epoca stia letteralmente per crollare, in modo pericoloso e inevitabilmente rovinoso.

Giorgio Cattaneo

26 febbraio 2022

da: Libre Idee

venerdì 19 novembre 2021

Breve storia della filosofia occidentale

 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Filosofo con i suoi allievi,
dipinto di 
Willem van der Vliet (1626)

Per storia della filosofia occidentale si intende la storia del pensiero occidentale così come si è espresso attorno a molteplici questioni filosofiche; iniziata con la nascita del pensiero speculativo greco nel VII secolo a.C., ha coinvolto i pensatori di tutta Europa durante il Medioevo, l'era moderna e contemporanea, in un confronto continuo con i pensatori precedenti e con gli sviluppi di altri campi del sapere. La comune base greca ha trasmesso alla tradizione filosofica occidentale un metodo di pensiero improntato all'antidogmatismo e la sensibilità verso una serie di problematiche ontologiche ed etiche che l'hanno caratterizzata rispetto ad altre tradizioni filosofiche.

Non si può poi tralasciare, come secondo substrato della filosofia occidentale, la tradizione giudaico-cristiana che già dalla tarda antichità va ad instaurare un rapporto complesso con il pensiero laico, introducendo una serie di concetti inediti nel pensiero filosofico ed avviando quella dialettica tra fede e ragione variamente risolta nei secoli.

Dal punto di vista cronologico, gli storici della filosofia dividono solitamente la lunga storia della filosofia occidentale in quattro periodi: filosofia antica, filosofia medievale, filosofia moderna e filosofia contemporanea.


Filosofia antica

Anche senza arrivare ad affermare che «tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone» (come scrisse Whitehead), non si può tuttavia negare che i filosofi posteriori alla fioritura del pensiero antico abbiano avuto come punto di riferimento, anche in funzione polemica e distruttiva, le tematiche sollevate dai filosofi antichi (e da essi stessi risolte in modo eterogeneo) attorno al fine dell'agire morale, al rapporto tra l'uomo e la verità, tra intelletto e conoscenza.

 

I presocratici

Le prime testimonianze di un approccio allo studio della realtà che si possa definire filosofico risalgono al VII secolo a.C., in Asia Minore. Talete, un personaggio sulla cui storicità non è ancora possibile avere certezze, è identificato da una tradizione risalente ad Aristotele come il primo filosofo. Con lui e con la sua scuola milesiana (Anassimandro e Anassimene) il pensiero per la prima volta si emancipa dall'impostazione religiosa e mitologica per ricercare spiegazioni razionali ai fenomeni naturali e alle questioni cosmologiche.

Con i milesiani si impose anche come centrale il problema dell'identificazione dell'archè (o «origine»), ossia l'elemento costitutivo e animatore di tutta la realtà, indagato anche da Pitagora ed Eraclito nello stesso periodo. Ed è dalle riflessioni sull’archè che si apriranno, con Parmenide e la scuola eleatica, le prime riflessioni ontologiche; e con esse la percezione di un conflitto irriducibile tra la logica che governa la dimensione intellettuale e il contraddittorio divenire dei fenomeni testimoniato dai sensi. Variamente risolto dai successivi filosofi del VI-V secolo a.C. (fisici pluralisti), la questione rimarrà centrale in tutta la storia del pensiero occidentale, dalla Scolastica a Martin Heidegger nel Novecento.

 

I classici

Nel V secolo a.C. si assistette ad un mutamento nell'oggetto della riflessione filosofica: all'interesse per la natura si sostituì un'attenzione maggiore verso le problematiche che riguardano l'uomo. L'agire morale, se il bene e il male siano relativi, la possibilità per l'essere umano di accedere alla verità, il rapporto natura/cultura: questi ed altri furono gli argomenti all'attenzione, sebbene con impostazioni differenti, sia dei sofisti che di Socrate. L'importanza di quest'ultimo per la successiva storia della filosofia fu fondamentale: con lui si acquisì piena consapevolezza della peculiarità del metodo di indagine filosofica (maieutica), e la ricerca della verità venne intesa come la riscoperta di una conoscenza già posseduta, universalmente valida ma dimenticata.

Le scuole filosofiche immediatamente successive alla morte del filosofo - scuola megarica, cirenaica, cinica e platonica - costituirono tutte uno sforzo interpretativo degli insegnamenti socratici. Se per le prime tre si trattò di elaborazioni minori, per Platone il socratismo fu un punto di partenza per una rielaborazione globale, nel primo grande sistema filosofico, di tutte le problematiche trattate dai pensatori precedenti. Conciliando Parmenide ed Eraclito, Platone sostenne da un lato che tutta la realtà fenomenica «scorre» in un continuo mutamento; e che al contempo però essa tende a costituirsi non a caso, ma secondo forme atemporali che sembrano preesisterle. Questo era un punto che in particolare l'atomismo di Democrito non aveva saputo spiegare, ossia perché la materia si aggreghi sempre in un certo modo, per formare ad esempio ora un cavallo, ora un elefante. Dietro ogni animale deve pertanto esistere un'idea, cioè una «forma» precostituita per ogni tipo, spirituale e non materiale. In queste forme eterne ed innate risiede non solo l'Essere di Parmenide, ma anche l'origine di ogni nostra conoscenza. Ad esse Platone ricondurrà ogni teoria sull'etica e la politica.

Con Aristotele, discepolo di Platone, la filosofia greca arrivò infine alla sua piena maturità: in lui la distinzione tra le particolarità accidentali da un lato, e le cause spirituali dall'altro in grado di guidare il perenne fluire dei fenomeni, diventa condizione della possibilità stessa di costruire scienza. La trasformazione di un uovo in una gallina ad esempio non può essere il risultato di semplici combinazioni fortuite della materia. A differenza di Platone, però, ogni organismo deve avere in se stesso, e non in un'idea a parte, le leggi del proprio costituirsi. La metafisicascienza teoretica per eccellenza, sarà allora la disciplina che studia le cause responsabili dell'evoluzione della natura, ricercandone le essenze immutabili e universali. Le altre opere di Aristotele trattano analogamente dalla fisica alla politica, dalla logica alla botanica, prestando attenzione alla specificità dei diversi campi del sapere, ma conferendo al tutto un'organicità di pensiero che segnò il trionfo della razionalità greca. Da ciò l'importanza del filosofo per la cultura occidentale in senso ampio.

 

L'ellenismo

Dopo Aristotele avrà quindi inizio il periodo ellenistico, in cui la cultura greca si fonderà con quella latina. Durante questo periodo si svilupparono tre principali correnti filosofiche: l'epicureismo, lo stoicismo, e il neoplatonismo. Rispetto alle altre correnti, il neoplatonismo sembrò concentrare ancora di più l'indagine sulla condizione umana e sulle possibilità date al singolo di trascendere il mondo quotidiano, mostrandone la contingenza. Il pensiero neoplatonico, il cui maggiore esponente fu Plotino, si proponeva così di essere un cammino di liberazione per l'uomo. Come molti altri platonici, Plotino pose uno scarto tra il mondo sensibile, sede dell'oscurità e della divisione, e il cosmo noetico, che è la vera realtà, prima manifestazione dell'essere e sede dell'Intelletto, generato a sua volta da un principio ineffabile (indicato da Plotino con il nome di Uno o Bene), e coglibile solo con un contatto di natura a-razionale chiamato epafé o henosis. L'Anima infine percorre l'universo plotiniano dal cosmo noetico al mondo materiale, verso cui essa discende per prendersene cura. La discesa dell'anima si trasforma per l'uomo in una caduta, causata dalla falsa credenza che scambia il mondo sensibile per la vera realtà, e dall'oblio della natura noetica di ciascuno di noi. La filosofia ha dunque il compito di riunire l'uomo alla sua patria intelligibile. Questa concezione dell'universo, e questo valore salvifico della filosofia sarà ripresa in tutte le forme che acquisirà dopo Plotino la filosofia neoplatonica.

Filosofia medievale

La filosofia medievale costituisce un imponente ripensamento dell'intera tradizione classica sotto la spinta delle domande poste dalle tre grandi religioni monoteiste.

 

La patristica

In Europa la filosofia medievale fu anticipata dal pensiero patristico, sviluppatosi in seguito alla diffusione del Cristianesimo all'interno dell'impero romano, e il cui maggiore esponente fu Agostino d'Ippona: questi divenne un vescovo neoplatonico, e conciliò la filosofia greca con la fede cristiana. Secondo Agostino ci sono dei limiti oltre i quali la ragione non può andare, ma se Dio illuminerà la nostra anima con la fede riuscirà a placare la nostra sete di conoscenza. E affermò che il male è soltanto "assenza" di Dio, dovuto alla disobbedienza umana. A causa del peccato originale nessun uomo è degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare; ciò non toglie che noi possediamo comunque un libero arbitrio.

 

La Scolastica

A partire dall'anno Mille è particolarmente significativa la nascita della filosofia scolastica, alla quale diede un contributo fondamentale Tommaso d'Aquino. Secondo Tommaso non c'è contraddizione tra fede e ragione, per cui spesso la filosofia può giungere alle stesse verità contenute nella Bibbia; egli conciliò pertanto la rivelazione cristiana con la dottrina di Aristotele. Quest'ultimo, partendo dallo studio della natura, dell'intelletto e della logica, aveva sviluppato delle conoscenze sempre valide e universali, facilmente assimilabili dalla teologia cristiana: ad esempio il passaggio dalla potenza all'atto è una scala ascendente che va dalle piante e dagli animali agli uomini, fino agli angeli e a Dio. Costoro hanno una conoscenza intuitiva, che permette loro di sapere immediatamente ciò a cui noi invece dobbiamo arrivare tramite l'esercizio della ragione.

Da alcuni punti di vista il Medioevo termina quando la fede si separa dalla ragione, quando metafisica e teologia diventano discipline distinte.

Gli altri nomi più importanti del periodo medievale sono Avicenna e Averroè in ambito islamico, Mosè Maimonide in ambito ebraico, Pietro Abelardo, Bonaventura da Bagnoregio e Duns Scoto in ambito cristiano.

 

Filosofia moderna

 

La filosofia moderna si estende dal 1400 fino al 1800 circa; essa ebbe inizio con la filosofia rinascimentale, che vide una rinascita del neoplatonismo e del pensiero di Plotino, identificato allora interamente con quello di Platone; in esso erano presenti inoltre concetti propri dell'aristotelismo. Tra gli esponenti di spicco del neoplatonismo vi fu in Germania Nicola Cusano, che rielaborò una teologia negativa su basi mistiche, affermando che Dio è il fondamento della razionalità, ma di Lui possiamo avere solo una conoscenza intuitiva perché la Verità non è qualcosa da possedere ma da cui si viene posseduti; mentre in Italia abbiamo Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. In un tale rinnovato clima culturale riprese vigore una disciplina emblematica di questo periodo: l'alchimia, che funse per certi aspetti da apripista alla chimica e alla scienza moderna. Cultore dell'alchimia fu in particolare Giordano Bruno, che anticipò per via filosofica le scoperte dell'attuale astronomia, introducendo il concetto di infinito in rottura con la visione geocentrica dell'universo. Sarà poi con Galileo Galilei che si suole far nascere ufficialmente la scienza moderna.

Già dalla seconda metà del Cinquecento il neoplatonismo cominciò tuttavia a declinare, in favore di un naturalismo e un razionalismo concepiti in maniera maggiormente autonoma e meccanica. Nel Seicento Cartesio sviluppò una prima forma di metodo razionale, che pur rifacendosi al concetto teologico di Dio, se ne serviva non per annullare il pensiero nel senso tradizionale della teologia negativa  in favore di una dimensione  misticaintuitiva del  sapere, ma al contrario per dare consistenza e oggettività al pensiero umano; fu così che elaborò il cogito ergo sum, in virtù del quale l'essere risulta sottomesso al pensiero, e la verità concepita come oggetto da possedere. Nel tentativo di fondare un'autonomia della ragione, egli si servì di Dio non come fine ma come mezzo, cadendo però agli occhi dei contemporanei in un dualismo circolare: partendo dal pensiero logico giungeva alla dimostrazione di Dio, sulla quale però si basava a sua volta per giustificare lo stesso pensiero logico. La posizione di Cartesio ricevette per questo le critiche di Blaise Pascal, fautore di un ritorno alla tradizione agostiniana;[9] Pascal fu inoltre anticipatore di un certo esistenzialismo cristiano, che respingeva le pretese della ragione di potersi fondare da sola. Anche l'olandese Spinoza si propose di rimediare agli errori di Cartesio, ponendo l'intuizione al di sopra del pensiero razionale; in tal modo egli poté ricondurre ad un unico principio, cioè un'unica sostanza, il dualismo che Cartesio aveva postulato tra res cogitans e res extensa. L'integrità della razionalità veniva così ripristinata identificando il pensiero con l'essere, e persino Dio con la Natura stessa. Un tale panteismo non significava tuttavia materialismo, poiché Spinoza postulò sempre la precedenza di Dio e dello Spirito sulla natura, concepita mai come autonoma o autoponentesi da sola. Un pensiero autenticamente materialista cominciò invece a prodursi in Inghilterra, sempre nel Seicento, dando luogo a una riproposizione del meccanicismo democriteo, in virtù del quale i fenomeni naturali sarebbero interamente riconducibili a leggi meccaniche di causa-effetto. A questa teoria aderirono in primo luogo Thomas Hobbes, e in seguito soprattutto Isaac Newton (determinismo). Sempre in Inghilterra si assistette in contemporanea alla nascita dell'empirismo, secondo il quale la conoscenza non deriva da idee innate nell'intelletto e accessibili per via intuitiva, bensì unicamente dai sensi. In tal modo veniva riproposta una separazione netta tra l'essere e il pensiero, ovvero tra l'esperienza del dato da una parte, e la mente umana dall'altro[13] che ne risulta "plasmata" in maniera simile a un mastice. L'essere venne cioè identificato con la verificabilità: ciò che non è verificabile, sperimentabile positivamente, non ha valore, né può conferire validità oggettiva al pensiero umano; era l'opposto della metafisica classica. Il maggior esponente dell'empirismo anglosassone fu John Locke. All'inizio del Settecento aderì a questa corrente anche George Berkeley, che cercò di ricondurre l'esperienza sensibile ad un principio spirituale (Dio), affermando che esse est percipi, cioè l'esperienza sensibile è persino creatrice dell'essere. Fu infine lo scozzese David Hume a portare l'empirismo alle sue estreme conseguenze, sostenendo che neppure l'esperienza sensibile può conferire validità oggettiva al pensiero umano, trattandosi di due piani completamente separati: secondo Hume, ciò che generalmente si reputa fondato perché razionale, è frutto invece di un istinto di abitudine che non ha alcun legame con la realtà.

L'empirismo anglosassone si era sviluppato parallelamente alla corrente continentale del razionalismo, al quale, dopo Spinoza, aderì Leibniz nel Settecento. Secondo Leibnitz, ognuno di noi è una monade slegata da tutto il resto; ma a differenza di Hume egli credeva nel fondamento oggettivo della razionalità, essendo tutte le monadi coordinate da Dio. Sul finire del Settecento Immanuel Kant ritenne però in parte fondata l'obiezione humiana, e decise così di sottoporre la ragione a vaglio critico, tramite la Critica della ragion pura. La riflessione kantiana si inserì nella cornice dell'illuminismo che andava nel frattempo sviluppandosi in Francia, e i cui maggiori esponenti furono Voltaire, Rousseau, e Montesquieu. Per risolvere le contrapposizioni tra razionalisti ed empiristi, Kant attuò una rivoluzione copernicana del pensiero, affermando che se da un lato il razionalismo non è autonomo ma ha bisogno dell'esperienza per aspirare ad una conoscenza oggettiva, dall'altro è l'esperienza sensibile ad essere modellata dalla ragione e non viceversa. Ma la grandezza di Kant risiedette soprattutto nella Critica della ragion pratica per l'importanza attribuita al sentimento morale, fondando sulla ragione anche l'agire etico:[14] la legge morale che la ragion pratica si dà, e a cui questa spontaneamente ubbidisce, diventa per Kant garanzia universale e necessaria di libertà, dell'immortalità dell'anima, e dell'esistenza di Dio, concetti preclusi invece alla pura ragione.

 

Filosofia del XIX secolo

La filosofia dell'Ottocento, che viene spesso trattata come un periodo a sé stante, è stata dominata dalla filosofia post-kantiana dell'idealismo tedesco: il primo esponente di questa corrente, Fichte, cercò di dare maggiore coerenza al criticismo di Kant unificando ragion pura e ragion pratica, in quanto originate dal medesimo principio: l'Io. Il soggetto, secondo Fichte, non si limita a modellare l'esperienza, ma crea l'oggetto stesso dell'esperienza; trattandosi però di una creazione inconscia, che l'Io non riconosce come tale, egli salvava in tal modo anche il punto di vista realistico del criticismo. Nella cornice dell'idealismo Fichte fu tuttavia una meteora, soppiantato ben presto da Schelling che mostrò maggiore interesse per il non-io, per l'oggetto posto dall'io (la natura), conciliando sotto certi aspetti l'idealismo critico fichtiano col razionalismo di Spinoza; ma come Fichte egli postulava pur sempre un'unione immediata di soggetto e oggetto, afferrabile solo a un livello intuitivo.

Anche Schelling fu una meteora, venendo ben presto soppiantato da Hegel, che affermò invece un'unione mediata di soggetto e oggetto, dunque non più uniti indissolubilmente. Hegel ripropose in un certo senso il ragionamento circolare di Cartesio,[15] sostenendo che il divenire logico della storia, scaturito dall'Assoluto, serve alla fine a rendere ragione dell'Assoluto stesso. Egli sovvertì la logica sequenziale (quella aristotelica di non contraddizione), affermando la supremazia della razionalità sull'intuizione, e identificando ogni principio col suo contrario: «ciò che è reale è razionale» fu la summa del pensiero hegeliano.[16] La logica formale per Hegel funge solo da avvio del processo, dopodiché il fine della filosofia coincide col mezzo da essa utilizzato, cioè la dialettica: questa non serve più a ricondurre a una dimensione mistica e di annullamento del pensiero, ma diventa fine a se stessa.

L'eredità hegeliana venne raccolta da Karl Marx, il quale vide in essa un sostanziale materialismo, mascherato esteriormente da idealismo. Si propose quindi di togliere da Hegel la sua "patina mistica", sostituendo l'Assoluto con la Storia. La dialettica marxiana prende così il nome di materialismo dialettico, in base al quale la molla che muove la storia è rappresentata dalla reciproca interazione di due princìpi contrapposti: in Hegel erano la ragione e la realtà, in Marx diventano la struttura (economica) e la sovrastruttura (culturale). Si trattava anche qui di un'unità mediata, composta cioè da due realtà distinte che alla fine della storia troveranno comunque conciliazione. Marx fu un filosofo della prassi, che trasformò la filosofia hegeliana in un impegno sociale di cambiamento del mondo.

Altri importanti pensatori del XIX secolo furono infine Arthur Schopenhauer, promotore di un idealismo diverso rispetto a quello accademico tedescoJohn Stuart Mill, filosofo britannico; Ralph Waldo Emerson, esponente del trascendentalismo americanoSøren Kierkegaard, fondatore dell'esistenzialismo, che criticò il sistema hegeliano ravvisandovi l'incapacità di comprendere come nella storia operino principi inconciliabili e non mediabili dalla ragione; e Friedrich Nietzsche, teorico del superuomo, che accusò i valori della religione e della metafisica occidentali di essere portatori di un sostanziale nichilismo.

Nella filosofia contemporanea si è creata una certa divergenza tra i filosofi del continente europeo e quelli anglosassoni (sostanzialmente inglesi e statunitensi), nonostante molti di questi traessero spunti da quella fucina di idee che fu il circolo di Vienna all'inizio del XX secolo. La filosofia anglosassone ha avuto un approccio più utilitaristico, che ha portato tra l'altro alla filosofia analitica. La filosofia del continente europeo ha mantenuto una maggiore varietà di filoni, restando più legata a impostazioni di tipo ontologico e gnoseologico, ritrovando allo stesso tempo una maggiore vicinanza con le filosofie orientali, e ricevendo l'apporto di nuovi campi d'indagine come la psicoanalisi,[ o la meccanica quantistica.

La cosiddetta filosofia analitica, con Bertrand RussellGeorge Edward Moore e Ludwig Wittgenstein, si sviluppò soprattutto a Oxford e Cambridge, dove si riunirono anche gli empiristi logici emigrati dalla Germania e dall'Austria (ad esempio Rudolf Carnap) e altri studiosi statunitensi (come Willard Van Orman QuineDonald Davidson e Saul Kripke), o comunque di lingua inglese (per esempio Alfred J. Ayer).

In Europa (specialmente in Germania ed in Francia) appartengono alla filosofia continentale i fenomenologisti tedeschi Edmund Husserl e Martin Heidegger, i quali aprirono la strada, presto seguiti da Jean-Paul Sartre e altri esistenzialisti,[21] a tutta una varietà di scuole che portarono al postmodernismo.

 

Bibliografia

·         Nicola AbbagnanoGiovanni ForneroProtagonisti e testi della filosofia, Milano, Paravia, 2000

·         Giuseppe CambianoStoria della filosofia antica, Roma-Bari, Laterza, 2004

·         Giuseppe Cambiano, Massimo MoriStoria della filosofia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2014

·         G. Granata, Filosofia, vol. III, e III, Milano, Alpha Test, 2001

·         Battista MondinStoria della metafisica, vol. III, e III, Bologna, ESD, 1998

·         Massimo Mori, Storia della filosofia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2005

·         Ugo e Annamaria Perone, Giovanni Ferretti, Claudio Ciancio, Storia del pensiero filosofico, Torino, SEI, 1975

·         Giovanni RealeDario AntiseriIl pensiero occidentale dalle origini ad oggi, La Scuola, 1985 ISBN 88-350-7647-1

·         Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana, Bompiani, 2004

·         Emanuele SeverinoLa filosofia dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1996

·         Franco VolpiDizionario delle opere filosofiche, Milano, Mondadori, 2000