venerdì 30 marzo 2012

Il Mago Monti e la truffa al Popolo denominata “pareggio di bilancio”

I media di regime stanno ripetendo sino alla nausea che questi che ci stanno imponendo sono “sacrifici” necessari per tornare tutti a star meglio. Poi, ci sarà la “crescita”! 
Ma ci pigliano per scemi? Come faremo a iniziare a star meglio stando peggio, con la fame e la merda fino al collo, per giunta sotto la gogna istigatrice al suicidio gestita da Equitalia con i superpoteri ad essa concessi?
Cos’è, un trucco da Mago Silvan? I soldi cadranno dal cielo (come la manna, che non ho mai capito esattamente cos'è), misteriosa-mente?
Non c’è altra possibilità reale, a meno che Monti non sia un mago ed abbia ereditato la bacchetta magica da Mago Merlino.
Eh, sì! Perché, ad analizzare bene le cose, Monti (spinto dai suoi padroni banchieri che governano sommersamente il mondo) ha anche deciso (unilateralmente) che lo Stato smetterà per sempre di darci più soldi di quelli che ci tassa (è il famigerato “pareggio di bilancio”). Un ritorno all'economia feudale del Medioevo!
Quindi, niente più sanissimo e socialmente utile debito pubblico, necessario in tutti gli Stati veramente democratici che perseguono una politica di bene sociale per favorire realmente la crescita e migliorare la qualità della vita ed il benessere dei cittadini (vedi l’Argentina oggi, vedi gli Stati Uniti nel decennio 1946/1956: è storia, non premeditate chiacchiere di Monti propinate attraverso i media di regime).
Significa che lo Stato, da qui all'eternità, ci darà ogni anno 100 lire e ci tasserà per 100 lire (queste cento lire sono omniacomprensive anche delle estorsioni di esosi stipendi, vitalizi e spese varie a favore delle tante kaste e figure anomale che imperversano in Italia).
Quindi, - se la matematica non è un'opinione, - per noi, per il miglioramento della nostra vita, per “crescere”, rimane una cifra denominata zero.
Anzi, a peggior rigore, più aumenterà il fabbisogno economico dello Stato (e delle kaste), più salirà la pressione fiscale, più aumenteranno carburanti e bene primari, con conseguente ulteriore abbassamento del potere d’acquisto dei cittadini e aumento della disoccupazione e dei tagli ai diritti costituzionali dello stato sociale (previdenza, sanità, istruzione, etc).
Addirittura, Monti metterà questa regola nella Costituzione, fra pochi giorni e senza indire un referendum popolare, come la stessa Costituzione invece prevede.
Quindi, per il benessere dei cittadini e per favorire la tanto decantata crescita, zero soldi dallo Stato! E allora da dove sbucheranno i soldi per la suddetta magica “crescita”? Da noi cittadini e dalle imprese medio/piccole e piccolissime (quelle grandi ormai non concorrono più in quanto le loro produzioni, con le complicità capitalistiche interessate e a loro vicine, se le sono portate nei paesi dell’Est europeo e altrove), già a loro volta supertartassate?
Ma come? Se ci hanno impoveriti tutti per anni col clamore di attuare il gran “risanamento”, come diavolo facciamo ad inventarci ulteriori soldi quando ormai ci sono rimasti solo gli occhi per piangere?
Ci vendiamo tutti un rene (per legge costituzionale) per poter arricchire, sempre di più, la kasta della politica e delle banche e morire senza nemmeno più i soldi per un funerale dignitoso?

 Nino Caliendo
che ha liberamente interpretato il pensiero di Paolo Barnard, “Gli inganni del risanamento dello Stato e del pareggio di bilancio spiegati a due pensionati”, post editato sul sito di Barnard il 28 marzo 2012

sabato 24 marzo 2012

Il governo degli zombies servi dei poteri ci ha dichiarato guerra

Credo che oramai sia evi-dente che tutti i movimenti, tutte le lotte in corso in que-sto paese, per quanto diffe-renti negli obiettivi e nelle storie, hanno di fronte lo stesso avversario che argo-menta allo stesso modo. I metalmeccanici, da poco scesi in piazza con rabbia e orgoglio, sono di fronte alla devastazione del con-tratto nazionale e delle più elementari libertà nei luo-ghi di lavoro. Milioni di altri lavoratori subiscono le stesse aggressioni senza avere la stessa forza o senza essere chiamati alla lotta da un sindacalismo confederale sempre meno capace di reagire. In Valle Susa nel nome degli affari, della competitività, del “Lo vuole l’Europa, si sta proce-dendo a una sopraffazione democratica e ambientale tra le più gravi della storia della Repubblica.
Sulle pensioni il governo ha realizzato il sistema previdenziale più feroce d’Europa, lo dice la stessa Unione. Il decreto sulle liberalizzazioni reinterpreta l’articolo 41 della Costituzione, rove-sciandone il significato e i limiti vengono così posti al pubblico e non al privato. Alla faccia del referendum sull’acqua e dei beni comuni. Che anzi, con il patto di stabilità e con i vincoli agli enti locali diventeranno la principale fonte di affari dei prossimi anni. Con il pareggio in bilancio assunto a norma costituzionale e con l’intreccio di questa norma con il fiscal compact europeo, cioè con l’impegno ventennale a restituire metà del debito pubblico complessivo, lo stato sociale viene posto al di fuori della Costituzione della Repubblica. Ed è stupefacente che un parlamento di nominati possa decidere del nostro futuro senza alcuna consultazione democratica e sono pesanti anche le responsabilità del Presidente Napolitano.
Infine l’articolo 18. Che verrà colpito dal governo, proprio perché così vogliono quei mercati e quella finanza internazionale che questo governo rappresenta e rassicura.Cosa devono farci ancora? Questo governo è ormai chiaramente, anche nelle battute volgari con cui si esprimono i ministri, un governo di destra. Di quella destra europea che attorno a Monti, Merkel e Sarkozy, affronta la crisi con un’operazione tecnicamente reazionaria. Cioè con lo smantellamento dello stato sociale, con le privatizzazioni, con il ritorno a un liberalismo ottocentesco, accompagnato dai poteri dello Stato degli anni Duemila. Quando il capo della Banca europea Mario Draghi dice che il sistema sociale europeo è finito, propone una soluzione devastante alla crisi, con l’imitazione di quel modello sociale ed economico degli Stati Uniti, che è la prima causa della crisi mondiale.
Dieci anni fa a Genova e in tutta Europa un grande movimento di lotta e di coscienze contestava il liberismo, il mercato e la globalizzazione, che allora sembravano vincenti ovunque. Oggi che siamo dentro la crisi della globalizzazione e del dominio finanziario su di essa, quelle politiche liberiste che l’hanno provocata paiono avere più consenso di dieci anni fa. E’ giusto cercare spiegazioni culturali, sociali ed economiche approfondite. Però bisogna farlo mentre ci si rimette in moto. A differenza di Alberto Asor Rosa, quando Monti va all’estero e si vanta di aver attuato nel nostro paese brutali riforme sociali senza nessuna reale contestazione, io mi vergogno. Così come mi vergogno quando vedo il concerto europeo massacrare la Grecia e usarla come minaccia verso tutti i popoli.
In Italia abbiamo qualche problema in più che altrove perché, come in Grecia, le principali forze politiche di centrodestra e centrosinistra sostengono il governo ispirato dalla Bce. E deve fare le capriole Bersani, quando dichiara di sostenere Hollande che in Francia vuol mettere in discussione i patti europei, mentre in Italia sostiene Monti che appoggia apertamente Sarkozy. Dobbiamo provare a ripartire per ricostruire. Dopo il 15 ottobre ci siamo fermati e loro sono andati avanti come treni, anzi come Tav…
L’appello che lancia la manifestazione a Milano, “Occupyamo Piazza Affari”, è sottoscritto da militanti sindacali e politici, da movimenti ambientali e civili, da sindacati e partiti, da protagonisti delle lotte di fabbrica e nel territorio. La decisione di lottare e di essere alternativi senza remore a Monti e alla sua politica, questo è ciò che unisce.

Giorgio Cremaschi, “Occupyamo Piazza Affari”, intervento pubblicato sul sito del Comitato No-Debito in vista della manifestazione del 31 marzo 2012 alla Borsa di Milano

venerdì 23 marzo 2012

Costituzione, art. 21: diritto di dissenso (e anche legittimità della ribellione?) contro misure ingiuste

Lettera aperta di Vincenzo Lo Iacono ai cari politici, ai cari sindacati e al clero.
L’Art. 21 della Costituzione Italiana sancisce il diritto al dissenso e (tra le righe, ndr) il dovere di ribellarsi.
“Jus resistentiae” è il diritto di resistere contro provvedimenti, ordini e disposizioni illegittime.
Ed io (Vincenzo Lo Iacono, ndr), in delega di molti cittadini, faccio il mio dovere, visto che coloro che avrebbero dovuto tutelarci ci hanno macellati per i loro interessi!   
Intanto, di fronte a questa ecatombe sociale, Voi che ne siete i fautori dovete chiedere perdono… noi, invece, lo dobbiamo chiedere ai nostri figli per avervelo permesso!
Ed ecco un altro vile ricatto. Dai quotidiani di ieri, 22 marzo 2012, il ministro Fornero dice: “Precoci in pensione a 57 anni, ma con il contributivo, perché queste pensioni hanno dentro ancora una parte di eccesso di generosità rispetto ai contributi versati…” Poi, conclude: “L’ora della verità e’ arrivata…!”
Questa affermazione, già fortemente e più volte ingiusta, pronunciata da lei diventa blasfema!
Ma com’è possibile parlare di “eccesso di generosità” quando gli italiani risultano i meno pagati e i più tassati d’Europa? Com’è possibile che proprio lei, la Fornero, denunci un eccesso di generosità? Lei che appartiene a quella casta che, per il suo arbitrario, immotivato, immorale sfarzo, mantiene in essere un eccesso di generosità che é uno scandalo mondiale!
Questa non è soltanto ipocrisia, ma pura malvagità, nella quale muore la speranza ed il rispetto di tutti i cittadini, in questo specifico caso dei cosiddetti “precoci”, ovvero di coloro che hanno violentato se stessi sacrificando la loro fanciullezza, rinunciando, quindi, ai sogni e alle fantasie della loro tenera età (spesso anche lontani da casa) per servire la famiglia e il Paese. E, dopo tanto patire, invece di essere trattati (almeno) come gli altri, si ritrovano perseguitati e violentati ripetutamente da leggi che non solo gli allontanano i requisiti pensionistici (addirittura in una realtà di precarietà di lavoro), non solo gli indebolisce anche gli ammortizzatori sociali, ma li costringe (se prima non vengono licenziati per “ingiusta” causa) a lavorare di più per ritrovarsi alla fine pure più poveri!
Questa sarebbe quella tanto decantata equità sociale? Questo sarebbe un Paese civile? Questa sarebbe la vera democrazia? E che fine hanno fatto i tanti “buoni”, o quelli che sembravano “buoni”?
Da decenni, la politica italiana, mentre continua a dire che la famiglia è la cellula sacra della società, nei fatti la scaraventa in una grave sofferenza sociale, figlia dei loro stessi errori acuiti con infame freddezza nel manipolare a loro piacimento le leggi, i diritti e la libertà dei cittadini. Addirittura incuranti di seminare un pericoloso malessere popolare dal quale si alzano seri moniti: “Quando si massacrano le famiglie con disumano cinismo, sarebbe anche giusto ricordare a questi carnefici che prima o poi dovranno fare i conti anche con la Giustizia!”.
Eppure, a questi cari faraoni gli abbiamo dato la libertà di beneficiare di stipendi e pensioni più alti al mondo. Li abbiamo riveriti. Abbiamo sopportato di essere tra i più poveri in Europa per farli vivere nei privilegi. Gli abbiamo dato la libertà di curarsi gratis nelle migliori cliniche, mentre noi dobbiamo pagare, o rinunciare. Gli abbiamo dato la libertà di sperperare, mentre noi dobbiamo indebitarci (per vivere, ndr).
Ma di certo, non gli abbiamo dato la libertà di affamarci, fino a toglierci la libertà e la gioia di vivere!
“L’ora della verità è arrivata”, dice ancora la Fornero. Speriamo che sia vero, ma ancor di più che sia la “nostra” ora! Quella in cui troveremo il coraggio di dire basta! Basta a quegli uomini che, mentre per i bilanci di Stato affamano gli onesti, dagli stessi bilanci, quegli stessi uomini, attingono senza freni né pudore per vivere nello spreco.
La Storia, vera grande maestra di vita, ci conferma quanto sia vero che: “Se non ti interessi di politica, prima o poi la politica s’interesserà di te!” A questa frase di John F. Kennedy, a noi comuni mortali non resta che aggiungere, con profonda amarezza ed immenso sgomento, quanto provato sulla nostra pelle: “Peccato che la politica italiana, quelle poche volte che s’interessa del cittadino, spesso, molto spesso, troppo spesso, lo fa solo per fargli del male!”
Ed è sempre dalla Storia che ci rendiamo conto di quanto abbiamo in comune con un uomo, Martin Luther King, che, oppresso nei diritti (come noi oggi, ma lui sessant’anni fa), lottava per la libertà, specialmente quando affermava: “La grande tragedia sociale non è lo sfrontato stridente clamore dei malvagi, ma lo spaventoso silenzio dei cosiddetti buoni… Abbiamo anche la responsabilità morale di disobbedire alle leggi ingiuste… La giustizia ottenuta troppo tardi è giustizia negata… Concordo con sant’Agostino nel ritenere che una legge ingiusta non è legge… Il racconto lungo e tragico ci dice che raramente i privilegiati rinunciano ai loro privilegi di spontanea volontà, quindi spetta a noi aiutarli…”
A questo noi aggiungiamo che:
·          “Un governo che, pur di far vivere nei privilegi gli intoccabili, soffoca la propria coscienza, offende la Costituzione e crea drammi alle famiglie fino a spingere i cittadini al suicidio, non è un governo giusto!”
·          “Un governo che si accanisce contro gli onesti cittadini allontanandogli i requisiti pensionistici, impoverendone la pensione, indebolendogli pure le tutele sociali e non provvede, invece, verso chi percepisce pensioni faraoniche, addirittura con solo qualche giorno o qualche mese di legislatura, non è un Governo giusto!”
·          “Un governo che nega ai già miseri pensionati 20 euro di aumento, costringendoli pure con il ricatto a pagare (le spese per l’obbligo di accredito in conto) per ritirare la propria pensione e non tocca gli stipendi d’oro, non è un governo giusto!”
·          “Un governo che violenta e inganna i cittadini e che, invece di tagliare gli sprechi, taglia i loro diritti e con essi taglia la loro vita, non è un governo giusto!”
·          “Un governo che teme i forti e infierisce sui deboli, non è un governo giusto!”
Non resta che porsi la domanda: “Fino a quando un pacifico cittadino può sopportare tanta provocazione, ricca di violenza, corruzione e tanta gratuita iniquità?”
Vincenzo Lo Iacono, 23 marzo 2012, su AffariItaliani.it

mercoledì 21 marzo 2012

L’estremismo neoliberista di Monti, Marchionne e Fornero ci ucciderà per sempre

Lavorano per il merca-to controllato dai pote-ri forti, contro i lavora-tori. Mentre il governo si appresta a riforma-re l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, Mario Monti sposa il Marchionne pensie-ro: “Chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti e per le sue localizzazioni le soluzioni più convenienti”. Parole che svelano l'illusione che ci hanno trasmesso i media sul governo "tecnico".
Ricordandoci la grande differenza che c'è tra politiche liberiste e quelle liberali!
La realtà è che stanno uccidendo i Popoli europei: quello italiano in testa!
L’Europa vive da troppi anni in una sorta di sconcertante coazione a ripetere neoliberista. Dimenticata la sua economia sociale di mercato e il suo liberalismo radicale e riformista, l’Europa non riesce a capire che il liberismo la sta uccidendo e, dunque, propone ancora, ostinatamente: tagli alla spesa pubblica (quando servirebbero investimenti pubblici in infrastrutture e reti), licenziamenti (quando aumenta la disoccupazione), tagli alle pensioni (quando le pensioni già si impoveriscono), obbligo di andare in pensione più tardi (togliendo spazio ai giovani), riduzione delle tutele sociali e diffusione di ulteriore insicurezza (in un corpo sociale già indebolito e insicuro).
Politiche insostenibili dal punto di vista sociale, ma coerenti con l’ideologia neoliberista, antisociale per ideologia. Proprio come Monti, Marchionne e Fornero.
E’ allora tempo che l’Europa torni urgentemente almeno al liberalismo, per non dover morire presto neolibe-rista.
Almeno le proposte liberali si basano sul perseguimento della piena occu-pazione (il neoliberismo produce, al contrario, totale disoccupazione), su sistemi previdenziali e assicurativi pubblici (il neoliberismo li privatizza e li rende sempre meno universalistici), sulla redi-stribuzione dei redditi (il neoliberismo ha prodotto il contrario, aumentando le disuguaglianze sociali ed economiche), su un accrescimento (e non sulla diminuzione) del ruolo dello Stato in economia, su una stabilizzazione dell’occupazione (il neoliberismo, invece, la precarizza e la destabilizza in nome della mobilità, della flessibilità e dando l’illusione di poter essere tutti creativi, mobili, imprenditori di se stessi).

Liberamente tratto e adattato dall’articolo di Lelio Demichelis, pubblicato da “Micromega on line” il 19/03/2012

domenica 18 marzo 2012

Italia e kaste di potere: l'informazione che non informa

Una volta per tutte, riconosciamo la verità più evidente: in Italia non esiste opinione pubblica, perché non abbiamo un’informazione indipendente (a parte qualche Blogger veramente indipendente, prodotto di nicchia).
Nessuna delle grandi redazioni, giornalistiche e televisive, è veramente libera. Il paese, tecnica-mente, non sa quello che accade.
L’unica differenza percepibile è il peggioramento costante e senza più neppure la consolazione civile di cantori come Fabrizio De André, che sapevano – loro sì – maneggiare parole difficili come verità, libertà, dignità.
Chi ha mai spiegato cos’è veramente il Trattato di Maastricht? Da chi e perché è stata imposta, senza referendum, l’adozione dell’euro, di cui tutti oggi si lamentano?
Col Fiscal Compact non si sa più come e dove potremo prendere decisioni: ogni singola voce di spesa, dal 2013, sarà prima sottoposta agli oligarchi di Bruxelles.
Benché assediati da rumori di guerra, siamo ancora in tempo di pace: ma forse è la “pace terrificante” profetizzata da De André.
Certo, possiamo ancora votare: per Parlamenti che, però, non potranno più decidere niente d’importante perché dovranno sottostare ai diktat di autocrati neo-medievali non eletti da nessuno. Come se, cent’anni dopo il nazifascismo, la nuova civiltà politica – destra, centro e sinistra – si trovasse ancora di fronte alla scelta di campo più antica: tra dittatura e democrazia.

da Giorgio Cattaneo, “Megachip” del 17 marzo 2012

giovedì 8 marzo 2012

Perché la donna dovrebbe essere uguale all'uomo solo l'8 marzo? Storia e leggenda

L'8 marzo? Da sempre non mi sono mai posto il dilemma (inesistente) su una diversità della donna.
E mai ne ho messo in discussione la parità, riconoscendone talvolta, quando lo è meritata, anche la superiorità.
Non c'è bisogno di leggi sulle "quote rosa" (che sono fortemente dicriminatorie, in quanto considerano la donna talmente inferiore da aver bisogno di una legge per dimostrare che vale qualcosa) per riconoscere che talvolta una donna merita di occupare un posto importante al posto di un uomo.
Quando una Donna vuole ricordare il suo genere con una data (che cade una volta all'anno) significa che non crede in se stessa e, di conseguenza, assume un atteggiamento arrogante di falsa superiorità che non è altro che una disciminazione di genere.
La donna è sempre (nelle capacità e nei diritti) uguale all'uomo (nessuno è mai diverso da un altro: altrimenti diventa razzismo): non soltanto l'8 marzo.
Allo stesso modo, chi ama l'altro, lo ama sempre, non solo il giorno di S. Valentino, il 14 febbraio.
La mamma è sempre la mamma, tutti i giorni, non solo nel giorno della sua festa.
Come il papà è sempre il papà e non ha bisogno di essere festeggiato solo il 19 marzo. Le persone vanno ricordate ogni giorno della nostra vita.
Limitare l'amore verso le persone che amiamo in una sola data all'anno è indifferenza, disamore e... discriminazione. Quasi un mettersi a posto con la coscienza.
Purtroppo, il consumismo, nel nome del profitto, è anche questo: educare al disamore verso chi amiamo, relegandone l'Amore ad una data in cui spendere e spandere per arricchire i solti noti.
Oltretutto,  la scelta di questa data (l'8 marzo) è quanto mai inopportuna: quel giorno morirono delle lavoratrici mentre erano al lavoro. Cosa c'é da festeggiare? Semmai la data andrebbe scelta per ricordare le vittime del lavoro (per i morti non si fa distinzione di genere): tutte! E in Italia ne annoveriamo circa 1.400 all'anno.
Ma ecco la storia dell'8 marzo come Festa della Donna.

Il «Woman's Day» negli Stati Uniti (1908-1909)

Nel VII Congresso della II Internazionale socialista, tenuto a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907, nel quale erano presenti 884 delegati di 25 nazioni - tra i quali i maggiori dirigenti marxisti del tempo, come i tedeschi Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, August Bebel, i russi Lenin e Martov, il francese Jean Jaurès - vennero discusse tesi sull’atteggiamento da tenere in caso di una guerra europea, sul colonialismo, sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alle donne.
Su quest'ultimo argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale si impegnavano i partiti socialisti a «lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne», senza «allearsi con le femministe borghesi che reclamano il diritto di suffragio, ma con i partiti socialisti che lottano per il suffragio delle donne». Due giorni dopo, dal 26 al 27 agosto, fu tenuta una Conferenza internazionale delle donne socialiste, alla presenza di 58 delegate di 13 paesi, nella quale si decise la creazione di un Ufficio di informazione delle donne socialiste: Clara Zetkin fu eletta segretaria e la rivista da lei redatta, Die Gleichheit (L’uguaglianza), divenne l’organo dell’Internazionale delle donne socialiste.
Non tutti condivisero la decisione di escludere ogni alleanza con le «femministe borghesi»: negli Stati Uniti, la socialista Corinne Brown scrisse, nel febbraio del 1908 sulla rivista The Socialist Woman, che il Congresso non avrebbe avuto «alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione». Fu la stessa Corinne Brown a presiedere, il 3 maggio 1908, causa l’assenza dell'oratore ufficiale designato, la conferenza tenuta ogni domenica dal Partito socialista di Chicago nel Garrick Theater: quella conferenza, a cui tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman’s Day», il giorno della donna. Si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne.
Quell'iniziativa non ebbe un seguito immediato, ma alla fine dell'anno il Partito socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali «di riservare l’ultima domenica di febbraio 1909 per l’organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile». Fu così che negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 28 febbraio 1909.

La Conferenza di Copenaghen (1910)

Il lunghissimo sciopero, che vide protagoniste più di 20.000 camiciaie newyorkesi, durato dal 22 novembre 1908 al 15 febbraio 1909, fu considerato, nel Woman's Day tenuto a New York il successivo 27 febbraio, come una manifestazione che univa le rivendicazioni sindacali a quelle politiche relative al riconoscimento del diritto di voto femminile. Le delegate socialiste americane, forti dell'ormai consolidata affermazione della manifestazione della giornata della donna, decisero pertanto di proporre alla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, tenutasi nella Folkets Hus (Casa del popolo) di Copenaghen dal 26 al 27 agosto 1910 - due giorni prima dell'apertura dell'VIII Congresso dell'Internazionale socialista - di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
Negli ordini del giorno dei lavori e nelle risoluzioni approvate in quella Conferenza non risulta che le 100 donne presenti in rappresentanza di 17 paesi abbiano istituito una giornata dedicata ai diritti delle donne: risulta però nel Die Gleichheit, redatto da Clara Zetkin, che una mozione per l'istituzione della Giornata internazionale della donna fosse «stata assunta come risoluzione».
Mentre negli Stati Uniti continuò a tenersi l'ultima domenica di febbraio, in alcuni paesi europei - Germania, Austria, Svizzera e Danimarca - la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911 su scelta del Segretariato internazionale delle donne socialiste. Secondo la testimonianza di Aleksandra Kollontaj, quella data fu scelta perché, in Germania, «il 19 marzo 1848 durante la rivoluzione il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria. Tra le molte promesse che fece allora e che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne». In Francia la manifestazione si tenne il 18 marzo 1911, data in cui cadeva il quarantennale della Comune di Parigi.
Non fu però ripetuta tutti gli anni, né celebrata in tutti i paesi: in Russia si tenne per la prima volta a San Pietroburgo solo nel 1913, il 3 marzo, su iniziativa del Partito bolscevico, con una manifestazione nella Borsa Kalašaikovskij, e fu interrotta dalla polizia zarista che operò numerosi arresti. In Germania, dopo la celebrazione del 1911, fu ripetuta per la prima volta l'8 marzo 1914, giorno d'inizio di una «settimana rossa» di agitazioni proclamata dai socialisti tedeschi, mentre in Francia si tenne con una manifestazione organizzata dal Partito socialista a Parigi il 9 marzo 1914.

L'8 marzo 1917

Le celebrazioni furono interrotte dalla Prima guerra mondiale in tutti i paesi belligeranti, finché a San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 (il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia) le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni di protesta che portarono al crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia».
In Italia, la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d'Italia, che volle celebrarla il 12 marzo, in quanto prima domenica successiva all'ormai fatidico 8 marzo. In quei giorni fu fondato il periodico quindicinale Compagna, che il 1º marzo 1925 riportò un articolo di Lenin, scomparso l'anno precedente, che ricordava l'8 marzo come Giornata internazionale della donna, la quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo.
La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l’isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della Seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione. Così, nel dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l’8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori, in gran parte giovani donne immigrate dall'Europa. Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti verificatesi a Chicago, a Boston o a New York.
Nonostante le ricerche effettuate da diverse femministe tra la fine degli anni settanta e gli ottanta abbiano dimostrato l'erroneità di queste ricostruzioni, le stesse sono ancora diffuse sia tra i mass media che nella propaganda delle organizzazioni sindacali.

In Italia

La mimosa

Nel settembre del 1944 si creò a Roma l’UDI, Unione Donne in Italia, per iniziativa di donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d'Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro e fu l’UDI a prendere l’iniziativa di celebrare, l’8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all'ONU una Carta della donna contenente richieste di parità di diritti e di lavoro. Con la fine della guerra, l'8 marzo 1946 fu celebrato in tutta l'Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, la mimosa, che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo, secondo un'idea di Teresa Noce, Rita Montagnana e di Teresa Mattei.
Nei primi anni cinquanta, anni di guerra fredda e del ministero Scelba, distribuire in quel giorno la mimosa o diffondere Noi donne, il mensile dell'Unione Donne Italiane (UDI), divenne un gesto «atto a turbare l’ordine pubblico», mentre tenere un banchetto per strada diveniva «occupazione abusiva di suolo pubblico». Nel 1959 le senatrici Luisa Balboni, comunista, Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni, socialiste, presentarono una proposta di legge per rendere la giornata della donna una festa nazionale, ma l'iniziativa cadde nel vuoto.
Il clima politico migliorò nel decennio successivo, ma la ricorrenza continuò a non ottenere udienza nell'opinione pubblica finché, con gli anni settanta, in Italia apparve un fenomeno nuovo: il movimento femminista.

Il femminismo
L'8 marzo 1972 la manifestazione della giornata della donna si tenne a Roma in piazza Campo de' Fiori: vi partecipò anche l'attrice americana Jane Fonda, che pronunciò un breve discorso di adesione, mentre un folto reparto di polizia era schierato intorno alla piazza nella quale poche decine di manifestanti inalberavano cartelli con scritte inconsuete e «scandalose»: «Legalizzazione dell'aborto», «Liberazione omosessuale», «Matrimonio = prostituzione legalizzata», e veniva fatto circolare un volantino che chiedeva che non fossero «lo Stato e la Chiesa ma la donna ad avere il diritto di amministrare l'intero processo della maternità». Quelle scritte sembrarono intollerabili, perché la polizia caricò, manganellò e disperse le manifestanti.
Il 1975 fu designato come "Anno Internazionale delle Donne" dalle Nazioni Unite e l'8 marzo le organizzazioni femminili celebrarono in tutto il mondo proprio la giornata internazionale della donna, con manifestazioni che onoravano gli avanzamenti della donna e ricordavano la necessità di una continua vigilanza per assicurare che la loro uguaglianza fosse ottenuta e mantenuta in tutti gli aspetti della vita civile. A partire da quell'anno anche le Nazioni Unite riconobbero nell'8 marzo la giornata dedicata alla donna.
Due anni dopo, nel dicembre 1977, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione proclamando una «giornata delle Nazioni Unite per i diritti della donna e la pace internazionale» da osservare dagli stati membri in un qualsiasi giorno dell'anno, in accordo con le tradizioni storiche e nazionali di ogni stato. Adottando questa risoluzione, l'Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese.
Nino Caliendo

sabato 3 marzo 2012

Tav in Val di Susa: affari di politica bipartisan con le mafie, con la complicità del Pd

Il Tav Torino-Lione nasce ventuno anni fa, quand’era appena caduto il Muro di Berlino, al governo c’erano Andreotti e Cirino Pomicino e alle Ferrovie Lorenzo Necci. Poi, guardacaso, Tangentopoli li ha spazzati via tutti. Un’altra era geologica, quando i politici erano in preda a una supersonica “invidia del pene” e  come modello di sviluppo inseguivano ancora la Muraglia Cinese e la Piramide di Cheope. Poi sappiamo che cosa ci han lasciato di grosso, in eredità: il debito pubblico. Il primo studio di fattibilità commissionato dalla Regione Piemonte 21 anni fa stimava che i passeggeri fra Italia e Francia sarebbero aumentati da un milione e mezzo a 7 milioni e 700.000 in dieci anni. Invece adesso sono 700.000: un decimo del previsto. Infatti il vecchio treno diretto Torino-Lione è stato soppresso da un pezzo.
Allora si è detto: siccome la nuova linea non serve per i passeggeri, che non ci sono più, servirà per le merci. E il progetto ha cambiato nome: da “alta velocità” a “alta capacità”. Adesso, a parte l’idea folle di fare una nuova ferrovia per portare le rape e le fave mezz’ora prima da Torino a Lione, basta dare un’occhiata ai dati del traffico merci fra l’Italia e la Francia, che è salito fino al 2000 e da allora è colato a picco. L’ufficio federale dei trasporti svizzero calcola che nel 2000 viaggiavano 8 milioni di tonnellate di merci; oggi ne viaggiano due e mezzo, anche perché ormai il grosso passa dal Gottardo e dal Brennero. Basta appostarsi lungo la ferroviaria Torino-Modane e osservare: l’80-90% dei treni merci passa completamente deserto. Anche perché abbiamo speso un sacco di soldi per potenziarla, la Torino-Modane, che ora potrebbe trasportare 20 milioni di tonnellate e invece ne trasporta due o tre al massimo.
Cioè, nessuno usa la linea esistente: e noi, furbi, ne facciamo una seconda. Con un cantiere che durerà 15 anni, scaverà per 57 chilometri una montagna piena di amianto e materiale radioattivo – perché noi siamo molto furbi: come se non fosse bastata l’Eternit, a insegnarci qualcosa. E dove lo mettiamo il milione di tonnellate di detriti, per giunta in parte tossici, che usciranno da quel buco? E quanti Tir ci vorranno per portarli via? Con quanta CO2 e quanto inquinamento? E che fine farà il turismo, nel frattempo? E le infiltrazioni della ‘ndrangheta in quella regione? Qualcuno ci ha pensato? E chi curerà le 10.000 persone che si prevede possano ammalarsi per le polveri e lo smog da cantiere, visto che è previsto addirittura un +10% di malattie cardiache e respiratorie? Per questo, non è vero che il Tav è inutile. Il Tav Torino-Lione è dannoso per l’ambiente e le falde acquifere (chiediamo ai toscani cos’è successo con il Tav tra Firenze e Bologna), è dannoso per la vita e per la salute degli abitanti della val Susa, ma soprattutto per le casse dello Stato.
Dicono che l’Europa dovrebbe pagare il 30-40% dell’opera ma non è vero niente, non c’è niente di sicuro: finora ha stanziato solo 600 milioni per il tunnel esplorativo, il resto è tutto da vedersi. E gli accordi con la Francia prevedono che l’Italia pagherà il 57% di un’opera che passa solo per il 30% sul nostro territorio: siamo sempre più furbi. Alla fine il Tav dovrebbe costare nell’ipotesi “maxi” 18-20 miliardi, cioè quanto basterebbe per cablare tutta l’Italia a 100 megabyte, o – nella versione “low cost” – 8 miliardi: tanti quanti la Gelmini ne ha tagliati alla scuola, alla ricerca e all’università negli ultimi tre anni. Ogni traversina del Tav è un banco di scuola, una culla di asilo nido, un posto letto di ospedale e di ospizio, un insegnante in meno. E questi sono solo i preventivi, che di solito, all’italiana, raddoppiano o triplicano. Basta vedere quello che abbiamo speso per gli altri Tav già fatti, quelli utili, come per esempio la Torino-Milano su cui nessuno si è opposto: abbiamo speso 73 milioni di euro a chilometro, mentre la Francia ne spende 10 e la Spagna 9.
Dicono: ma in Francia stanno scavando. Intanto non è vero: è tutto fermo anche lì, manca ancora il progetto definitivo fino a Lione. Hanno fatto solo tre cunicoli esplorativi e poi hanno tappato tutto, in attesa di tempi migliori: infatti i giornali francesi se ne strafottono di quello che succede dall’altra parte della montagna, perché non interessa nessuno. E comunque in Francia, quando scavano, scavano solo nella terra, mentre da noi scavano soprattutto nelle nostre tasche. E di solito il differenziale dei costi fra Italia e Europa, lo spread del magna-magna, ha un nome soltanto: tangenti. Basta aspettare. Il sospetto che, dietro, ci sia qualcosa di non detto aumenta quando si sentono parlare i difensori del Tav.
Prima c’erano i politici che ripetevano: «Il Tav si deve fare perché si deve fare, punto». A “Report”, il governatore piemontese Roberto Cota, col suo sguardo penetrante tipico della triglia lessa, ha risposto alle cifre dei No-Tav dicendo la seguente “supercàzzola”: «La Tav apre il Piemonte e tutto il sistema-paese all’Europa: prima di tutto, è un’apertura psicologica, di prospettiva». Ecco, più che psicologica sembrerebbe psichiatrica, visto che il Piemonte è già collegato all’Europa e alla Francia, dato che il traforo del Fréjus l’hanno inaugurato nel 1871 – all’insaputa di Cota, naturalmente. E meno male che la Lega Nord difende la volontà popolare, il radicamento nel territorio, il popolo sovrano, il “dio Po” che difende i popoli da scelte imposte da “Roma ladrona”. Il popolo della val Susa dev’essere figlio di un Po minore, perché non viene preso in considerazione.
Sempre a “Report”, l’ex sottosegretario alle infrastrutture del governo Berlusconi, Giachino, disse un’altra “supercàzzola” memorabile: «Il Tav consentirà di collegare le merci da Torino a Lisbona, fino a Kiev». Una super-mega-transiberiana, senza spiegare quali sarebbero queste merci che dovrebbero partire dal Portogallo e arrivare addirittura – marce, naturalmente – in Ucraina. E perché mai dovrebbero fare una capatina a Torino? Forse per visitare la Sindone o il Museo Egizio? I politici non dicono mai niente di esatto, di preciso: dicono una “supercàzzola” dopo l’altra, però sono quasi tutti d’accordo: quelli attualmente presenti in Parlamento sono tutti d’accordo sul Tav, centrodestra e centrosinistra. Uno dei più scatenati è il Pd: il sindaco Fassino ha detto che i No-Tav sono anti-storici. Un po’ come chi, quarant’anni fa, credeva nel comunismo sovietico. Chiamparino voleva addirittura espellere dal centrosinistra tutti quelli che erano contro la Tav. Poi ha scoperto la sua vera vocazione: ora fa il banchiere.
Il Pd piemontese ha minacciato di togliere la tessera agli iscritti che manifestano contro il Tav, manco fossero dei pregiudicati o degli inquisiti – anzi, no: se fossero degli inquisiti la tessera non gliel’avrebbero tolta: Penati ce l’ha ancora, è soltanto sospeso. Bersani l’ha ripetuto anche stasera: in fondo, il Tav è solo un treno. Non è solo un treno: è una linea ferroviaria che scava 57 chilometri nella montagna. E che, guardacaso, è appaltata a una cooperativa rossa, la Cmc di Ravenna, molto nota alle cronache (soprattutto giudiziarie) per i suoi vecchi rapporti con Primo Greganti: siamo passati da “falce e martello” a “calce e martello”. Ha scritto bene Adriano Sofri ieri su “Repubblica”: «Il partito trasversale pro-Tav è il Partito Preso, cioè quello che dice “ormai non si può più tornare indietro” e non spiega mai perché. Il Partito dell’Ormai. Il Tav è una nuova religione rivelata, fondata su un mistero sacro, calato dall’alto, quindi indimostrabile ma indiscutibile: il dogma dell’Immacolata Costruzione».
Infatti, nessuno si confronta mai con i dati degli economisti de “LaVoce.info”, del “Sole 24 Ore” (che è un noto organo dei centri sociali) o dei 360 professori universitari e professionisti che si sono riuniti insieme a Luca Mercalli, Ivan Cicconi e i professori Marco Ponti e Sergio Ulgiati e hanno lanciato quel famoso appello a Monti. Gli hanno detto: caro Monti, hai avuto coraggio nel respingere l’assalto olimpico di “Roma 2020”, possibile che non dimostri lo stesso coraggio ripensando un’opera così superata e così costosa? Anche quelli sono tecnici, anche se non sono al governo: per essere tecnici non è necessario essere ministri. Anzi, ci sono tecnici che non sono ministri, la pensano diversamente dai ministri tecnici e magari sono molto più tecnici dei ministri tecnici.
I 360 esperti citano per esempio uno studio di due ricercatori del Politecnico di Milano, Beria e Grimaldi, sulla grave sofferenza in cui versano tutte le linee di alta velocità in Italia. Poi c’è uno studio dell’università di Oxford su 260 grandi infrastrutture trasportistiche in ben 20 nazioni. Si dimostra che tutte le previsioni sui costi vengono regolarmente sottostimate, e tutte le previsioni sui benefici vengono regolarmente sovrastimate. Tant’è che quell’analisi si intitola: “La peggiore infrastruttura è sempre quella che viene costruita”. Altri ricercatori, svedesi e americani, hanno dimostrato che le grandi infrastrutture ferroviarie non risparmiano energia: la consumano. Quindi, inquinano molto più dei Tir che si vorrebbero togliere dalla strada.
Sono tutti professori, mica anarco-insurrezionalisti: non insultano i poliziotti, non tirano pietre, non si arrampicano sui tralicci, non sporcano e non urlano; chiedono solo un tavolo, un tavolino, per discutere pubblicamente come si fa tra tecnici: cioè con i dati e con le cifre, e nient’altro. E’ quello che chiedevano i No-Tav quando non c’era ombra di violenza, nel movimento. Solo che, quando non c’era la violenza, non li ascoltavano perché non erano violenti. E così qualcuno, sbagliando, ha pensato che per farsi notare e ascoltare bisognasse diventare violenti: e ha molto sbagliato, a fare questo. Ora, i tecnici di governo parlano come i politici. Il ministro Passera ha detto: i lavori devono proseguire, punto e basta. Perché? Perché sì. Bell’argomento: un argomento tecnico. Si è iscritto anche lui al Partito Preso.
In realtà, “proseguire” i lavori è un verbo sbagliato, perché i lavori non esistono: il cantiere è finto, i lavori dovrebbero semmai “cominciare”: pochissimi operai, l’abbiamo visto, e moltissimi poliziotti. I poliziotti, anche loro, come i valligiani, sono le vere vittime di questa politica e di questi tecnici che non ci mettono mai la faccia: forse perché non ce l’hanno più o forse perché ormai sono al 4% di fiducia, come diceva Ainis. Nessuno nega che tra i manifestanti ci siano dei violenti, e nessuno nega che anche tra le forze dell’ordine ci siano dei violenti, anche se lì è più difficile individuarli perché sono nascosti sotto i caschi, ma la gran parte fa il suo dovere. Come fa il suo dovere il procuratore Caselli, minacciato di morte e insultato con slogan orrendi, paragonato addirittura ai terroristi e ai mafiosi che ha combattuto per tutta la vita, solo perché ha fatto arrestare 25 attivisti accusati di violenze – tra l’altro, quasi tutti venuti da fuori della val di Susa.
Ma non è stato mica Caselli a decidere di militarizzare la valle, lui si è limitato a perseguire i reati. Gli ordini li danno i politici, quelli del 4%, quelli che oggi si defilano e lasciano la patata bollente ai tecnici: forse perché temono di non essere credibili, o magari perché temono che qualcuno gli ricordi che il movimento operaio in Italia è nato proprio con i blocchi stradali e con le occupazioni delle terre. E’ credibile forse un ex banchiere come Passera che ora fa il ministro e che ha scelto come vice-ministro delle infrastrutture un altro ex banchiere amico suo e socio suo in Banca Intesa, che prima le infrastrutture le finanziava e ora le dovrebbe controllare e deliberare? Sono credibili i ministri, politici e tecnici, che hanno militarizzato una valle per proteggere un cantiere che non esisteva? Che ordinano ai poliziotti di accogliere nelle stazioni in assetto antisommossa i manifestanti pacifici e di caricarne qualcuno? O di inseguirli fino in cima agli alberi?
Ecco, che bisogno c’era di far inseguire quel ragazzo sopra al traliccio? Possibile che davvero in Italia chiunque si arrampichi su un traliccio venga regolarmente inseguito da un rocciatore dei carabinieri oppure è un trattamento ad personam che riserva soltanto ai No-Tav? Lo dico perché un mese fa a Milano c’è stata una manifestazione secessionista della Lega. Alcuni milanesi hanno accolto i manifestanti srotolando la bandiera tricolore. La Digos gliel’ha fatta ritirare – il tricolore, non quella secessionista – per non provocare i leghisti. E’ il mondo alla rovescia, perché la bandiera nazionale è legalità e la secessione è illegalità. Però si può capire, la scelta della polizia: voleva evitare inutili tensioni e inutili scontri. Siamo sicuri che si stia cercando di evitare inutili tensioni e inutili scontri in valle di Susa? Perché non si cerca di fare anche lì quello che si è cercato di fare a Milano tra i leghisti e i tricolori? Soprattutto: perché i tecnici non fanno finalmente i tecnici e non rispondono, su quel tavolino da tecnici, alle obiezioni dei tecnici No-Tav con degli argomenti tecnici pro-Tav, se li hanno? Se non lo fanno non sono dei tecnici: sono dei cialtroni, e anche un po’ provocatori. E nessuno, a quel punto, toglierà dalla testa a molta gente che questa non sia l’alta velocità, ma l’alta voracità.

Marco Travaglio, testo del video-editoriale della puntata di “Servizio Pubblico” del 1° marzo 2012, pronunciato nello studio di Michele Santoro di fronte al segretario del Pd, Pierluigi Bersani

giovedì 1 marzo 2012

Ciao, Lucio!

Ho provato a scrivere di te: per ricordarti. Ma mi sono reso con-to che qualsiasi cosa potessi scrivere non ti avrebbe reso piena giustizia, per cui credo che un "Ciao, Lucio!" esprima più di tutto il mio pensiero, al di là di ogni parola superflua.
Tu sicuramente non lo sai, ma su un'Antologia ci siete i miei preferiti, tu e Battiato, nessun altro della musica e, insieme a Voi, qualcuno mise anche me, con una  mia poesia ("Dov'è andata Primavera?"), pur non essendo un Poeta come Voi, anzi, per la precisione, da povero saggista e, qualche volta, opinionista.
Ciao, Lucio! Non può essere un addio, ma solo un sempli-ce "Ciao" verso chi si è conquistato l'eternità con il suo talento e per quello che hai dato a noi, poveri mortali!

Nino Caliendo