mercoledì 22 febbraio 2012

Se fossi laureato in economia e non in lettere

Dopo avere letto il post “La decrescita totalitaria”, di Stefano Feltri, ho immaginato di essere un “economista” ed ho fatto un paio di considerazioni. Ad esempio, se fossi laureato in economia e non in lettere, mi domanderei: chi ha governato l’economia e la finanza nei decenni passati, chi la sta governando, chi ha la responsabilità della crisi che sta sconvolgendo i paesi industrializzati, chi è incapace di trovare le misure di politica economica adeguate per uscirne: i laureati in economia o i laureati in lettere?
Se fossi laureato in economia e non in lettere, mi domanderei se è veramente desiderabile, ammesso che sia possibile, uscire dalla crisi con la ripresa della crescita di un prodotto interno lordo in cui incidono in misura significativa gli sprechi di cibo (il 3 per cento del pil), gli sprechi di energia (il 70 per cento dei consumi), gli incidenti automobilistici, il consumo di medicine, le spese di riparazione e di ripristino dei danni ambientali causati da processi produttivi finalizzati alla crescita del prodotto interno lordo, la cura delle malattie causate dalla crescita delle emissioni e delle produzioni inquinanti, la produzione di armi e le guerre.
Se fossi laureato in economia e non in lettere, non eviterei comunque di ripassare la differenza tra la congiunzione “e” e il verbo “è”, perché un conto è dire “meno e meglio” e un altro è dire “meno è meglio”. Se per i talebani della crescita più è sempre meglio, anche quando è peggio (es.: gli sprechi di energia in un edificio mal costruito), i sostenitori della decrescita felice non pensano, né scrivono, che meno è sempre meglio, ma sanno distinguere quando lo è (es.: la riduzione dei consumi di energia in un edificio ben costruito). I talebani della crescita si limitano a usare grossolani criteri di valutazione quantitativi, i sostenitori della decrescita felice utilizzano parametri qualitativi.
Se fossi laureato in economia e non in lettere terrei in una certa considerazione l’insegnamento di un economista tra i più importanti del Novecento, John Kenneth Galbraith, che nel 1968 ha suggerito a Robert Kennedy di rivelare l’inganno dell’equazione tra crescita del Pil e crescita del benessere, perché il Pil cresce anche quando cresce la produzione di merci che peggiorano la nostra vita, come le armi, il tabacco, la riparazione delle automobili incidentate, mentre non può misurare il benessere generato da attività che non generano una compravendita, come le relazioni umane, l’autoproduzione di beni, l’economia del dono e della reciprocità.
Se fossi laureato in economia e non in lettere mi domanderei: se basta il banale buon senso per decidere di produrre cose utili invece di cose inutili o dannose, di utilizzare processi non inquinanti anziché processi inquinanti, di ridurre gli sprechi invece di incentivare un consumo dissipativo delle risorse, come mai i laureati in economia che governano l’economia e la finanza non indirizzano su questa strada gli investimenti per superare la crisi? I laureati in economia sono privi del banale buon senso?
Se fossi laureato in economia e non in lettere mi domanderei se la scelta di aumentare la produttività per far crescere il Pil e rendere le aziende più competitive sul mercato mondiale non comporti una riduzione dell’incidenza del lavoro umano per unità di prodotto e quindi una riduzione dell’occupazione e della domanda a fronte di un aumento dell’offerta; se cioè non aggravi la crisi invece di attenuarla (per non parlare della sofferenza umana di chi non ha occupazione, ma gli esseri umani per chi è laureato in economia sono semplici fattori della produzione, quello che conta è la crescita).
Se fossi laureato in economia e non in lettere, non avrei comunque nessuna ritrosia a leggere ciò che scrivono quelli che la pensano diversamente da me, perché il vero fondamento di una deriva totalitaria è proprio l’intolleranza, soprattutto quando assume l’aspetto di un tabù inviolabile da difendere con tutti i mezzi.

Maurizio Pallante, “Se fossi laureato in economia e non in lettere”, da “Il Fatto Quotidiano” del 20 febbraio 2012

martedì 21 febbraio 2012

Tagli e malasanità sono anche colpa delle nuove guerre coloniali! Pardon... "missioni di pace"!

Grazie ai tagli alla sanità per sovvenzionare le guerre (mascherate da "missioni di pace"), sollazzo di inutili generali e colonnelli (talvolta anche massoni e golpisti), - formato da coloro che hanno a stento conseguita la licenza media, arruolatisi perché null'altro avrebbero potuto e saputo fare, con introiti totali fino a circa 85.000 euro/annui netti per un caporal maggiore in "missione di pace" per sei mesi (un famigerato evasore fiscale, che magari dà anche lavoro ad altri, per guadagnare questa stessa somma netta, dovrebbe movimentare e incassare minimo 200.000 euro lordi), - sono svaniti 45mila posti letto negli ospedali.
Ecco perché i pazienti restano in barella! 
Negli ultimi dieci anni, è stata tagliata del 15% la già scarsa capacità di ricovero degli ospedali pubblici. Con punte del 30% a Roma, a Napoli ed in tutte le metropoli italiane. 
Attese fino a 12 ore per un codice verde. E nei pronto soccorso mancano anche le sedie, oltre che ai letti e alle barelle.
La malasanità, nella maggior parte dei casi, è colpa di chi governa, non dei medici! E il cittadino deve subirla pur pagando (obbligatoriamente), con il suo sangue, il defunto ed oggi ormai finto Servizio Sanitario Nazionale.
Il Popolo italiano ha, oggi più che mai, molti nemici e tanti sfruttatori!

Nino Caliendo

lunedì 20 febbraio 2012

La Poesia di Pierluigi Cappello

La Poesia è inutile in quanto necessaria, perché la Poesia è il linguaggio della gratuità, è parola imperitura, antitesi della comunicazione basata sull’utile, che si consuma in un soffio. Senza le sue parole “inutili” saremmo tutti più poveri di quanto può farci diventare la più dura delle crisi di Monti.
“Ci vuole un’estate piena e un padre calmo / un dio non assiso in mezzo agli sconfitti / ma così in tutta bellezza lo posso immaginare / come un bambino alle prime pedalate, / reggilo, eccolo, tienilo così – adesso tiene / uniti la terra e il cielo dell’estate / non sbanda più, vince, è in equilibrio, / vola via”. (Pierluigi Cappello)

domenica 19 febbraio 2012

Stracquadanio, PdL: “E’ uno sfigato chi guadagna solo 500 euro al mese!”

Secondo Giorgio Stracquadanio, PdL: «Chi guadagna 500 euro al mese è uno sfigato per varie ragioni e per fortuna sono pochi, pochissimi in Italia».
Allora, le centinaia di migliaia di persone (tanto per fare un esempio) che lavorano nei call center sono solo dei poveri imbecilli, come altrettanto imbecilli sono quei pensionati che nemmeno ci arrivano a 500 euro al mese e si potrebbe andare avanti per ore nel citare tutte le varie categorie degli "sfigati" dei 500 euro/mese.
Certo Stracquadanio non ha mai guadagnato, come lui stesso afferma, appena 500 euro al mese: infatti, lui ruba agli italiani altro che 500 euro al mese facendo il politico!
Premesso che più di 500 euro al mese li guadagnano solo gli italiani più fortunati, mentre la maggior parte è sotto questa soglia, ancora una volta la politica ha dimostrato di essere sempre più lontana dagli interessi e dai bisogni del Popolo che dovrebbe rappresentare.
Ancora una volta, si è dimostrato che chi vota ancora questa gente (di destra, di sinistra o di centro che sia, se ancora esiste una diversificazione politica) o è realmente uno "sfigato" (nel senso di analfabetismo, cultura o, semplicemente, istruzione) o è un “pagnottista” che ha i suoi sporchi interessi individuali e familiari a mandare in Parlamento gente di estrazione altrettanto pagnottistica!
Sarebbe opportuno organizzare il Popolo dei 500 euro al mese per un bel bivacco (pacifico) sotto il Parlamento, in modo da far vedere a chi straparla che non si tratta solo di pochi sfigati, ma di un intero Popolo che soffre.
In Italia, Stracquadanio a quanto pare lo ignora, ci sono giovani laureati in materie altamente specialistiche (non parlo di ovvie lauree in Lettere, Scienze Politiche o tante altre, oggi pericolosamente inflazionate, al punto da renderle inutili o, quantomeno, ininfluenti nel mondo del lavoro), che talvolta prendono mensilmente cifre anche al di sotto dei 400 euro: conquistarne 500, per loro, sarebbe già un sogno.
Ecco le cose che mi fanno vergognare di essere italiano! A quando, una volta per sempre, una sana e legittima “Rivoluzione” per mandare definitivamente a casa questa gente (e, se lo merita, anche in galera)? 

Nino Caliendo