Se il nuovo governo greco comincerà
subito a tenere fede al suo programma elettorale stabilendo il salario minimo a
750 euro mensili, la Germania del governo Merkel-Spd chiuderà la porta ad ogni
trattativa sul debito. Infatti con le “riforme” tedesche che han fatto da
modello a tutto il continente, i milioni di lavoratori precari impegnati nei
minijobs prenderebbero di meno di un lavoratore greco. È vero che ci sono le
integrazioni dello stato sociale, ma è altrettanto vero che la coerenza del
nuovo governo greco aprirebbe un fronte con una Germania anche sui tagli al welfare. Insomma la coerenza di Tsipras sarebbe
insostenibile per una classe dirigente tedesca che da anni impone terribili
sacrifici al proprio mondo del lavoro spiegando che gli altri stanno tutti peggio. Gli operai tedeschi, che
hanno subìto una delle peggiori compressioni salariali d’Europa, si chiederebbero a che pro, visto che
le cicale greche ricominciano a frinire. È per il timore del contagio sociale,
della ripresa, magari persino conflittuale, dei salari e della richiesta di welfare che si dirà no alla Grecia e non
per la questione debito.
Il debito pubblico della Grecia ruota
attorno a 350 miliardi di euro, quello interno alla Ue dovrebbe essere circa
attorno ai due terzi di quella cifra. Abbuonarne la metà significherebbe per la
Ue rinunciare a poco più di 100 miliardi. È una cifra enormenaturalmente, ma dal 2008 governi europei, Bce e sistema finanziario hanno
speso 3000 miliardi per sostenere le banche. E altri 1.000 verranno spesi nel Quantitative Easing, presentato come un
sostegno agli Stati che in realtà finanzia ancora gli istituti bancari
acquirenti di titoli di Stato. Cosa sono allora 100 miliardi di abbuono del
debito ad una Grecia che comunque non potrebbe pagarli, di fronte ai 4.000
miliardi concessi al sistema bancario e finanziario? Niente sul piano delle
dimensioni della cifra, tutto sul piano del suo significato. Come dicono
accreditate indiscrezioni, una dilazione dei pagamenti più che trentennale
sarebbe già stata concessa dalla Troika nel novembre scorso, ma naturalmente in
cambio della impegno a continuare le politiche liberiste di questi anni. Il
problema dunque è la continuità o la rottura con quelle politiche, e qui
“Syriza” e la Troika si scontreranno.
Quello che sta succedendo in Grecia e in
Spagna è qualcosa di diverso dalla storia europee delle sinistre. La politica dell’austerità sta portando tutta l’Europa meridionale verso quello che una volta si chiamava terzo mondo. Le
prime risposte vere son quindi legate a questa nuova terribile realtà. Le
socialdemocrazie si sono immolate sull’altare del rigore e le sinistre
comuniste son troppo piccole e divise per contare. Si apre così lo spazio per
forze alternative diverse da quelle del passato. In fondo il successo del M5S
aveva inizialmente questo segno, anche se sinora a quel movimento è mancata una
vera spinta sociale e la sua politica è rimasta ancorata al terreno della cosiddetta lotta per l’onestà.
Invece “Syriza” e “Podemos” somigliano sempre di più alle formazioni populiste
di sinistra che governano gran parte dell’America Latina e con questa impronta
affrontano la crisi europea e il Fiscal Compact, vedremo. Quel che è certo è che le cose
stanno cambiando, ma non da noi. Siamo stati facili profeti ad anticipare il
salto sul cavallo greco di tutto il mondo politico italiano, oramai campione di
trasformismo in Europa.
C’è ovviamente anche un calcolo
parassitario non solo elettorale. Se la Grecia ottiene qualcosa, si spera che
qualcosa tocchi anche a noi. Così tutti a fare gli Tsipras con le vongole,
dimenticando ovviamente la sostanza del programma del nuovo governo greco. Che
tradotto in Italiano significherebbe misure immediate come la cancellazione del
Jobs Act, della legge Fornero sulle pensioni, del pareggio di bilancio
costituzionalizzato. E a seguire la fine delle privatizzazioni, dei tagli alla sanità e alla scuola
pubblica, del Patto di Stabilità per gli enti locali. Attenzione, questi non
dovrebbero essere gli obiettivi strategici di un governo che promette tanto, ma
le azioni dei famosi primi cento giorni. Poi dovrebbe seguire la messa in
discussione della politica dei debiti e del debito stesso, che da quando nel 2011 Giorgio
Napolitano indicò come vincolo per le politiche diausterità è passato da 1.900 a 2.150 miliardi. Si tratta di rompere con
tutte le politiche seguite non solo dalla destra, ma dal centrosinistra in
questi anni. Come si fa allora a stare con la Grecia mentre ci si allea con il
Pd di Renzi in tutte le regioni più importanti?
Mi fermo qui perché è assolutamente
ovvio che, se non si rompe con i partiti dell’austerità, il sostegno alla
Grecia non c’è. Anche sul piano sindacale son tutti felici per le elezioni
greche. Ricordo però le tante volte che in Cgil si è usata la Grecia come
esempio di una resistenza vana. 14 scioperi generali e in quel paese non è
cambiato nulla, si diceva quando si lasciavano passare la pensione a 68 anni e
le altre riforme di Monti. E in nome della flessibilità, Cgil, Cisl e Uil son
arrivate a concordare il lavoro gratuito per migliaia di giovani precari che dovranno far funzionare
l’Expo. È quindi inutile usare il marchio greco per coprire politiche e gruppi
dirigenti responsabili o complici del nostro disastro sociale. La sola cosa
seria che si deve fare in casa nostra per sostenere la Grecia contro la Troika
è praticare la stessa rottura. Non son in grado di sapere se Tsipras sarà
coerente, ma per aiutare lui ad esserlo bisogna fare in modo che non sia solo
“Bella Ciao” l’unico legame utile all’Italia.
Giorgio Cremaschi, “La
coerenza di Tsipras e quella nostra”, da “Micromega”
del 29 gennaio 2015
Da: Idee Libre
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