“Mani Pulite” continua ad essere agiograficamente celebrato come un evento
decisivo, come una liberazione, vuoi anche come il trionfo della democrazia
sulla corrottissima “Prima Repubblica”. Ma siamo davvero sicuri che sia questo
il corretto modo di intendere quanto accaduto?
Mi permetto di dubitarne, sollevando il
dubbio metodico di marca cartesiana. Il compito della filosofia, forse, risiede
proprio nel problematizzare l’ovvio o, come diceva Heidegger, nel fare emergere
come “in ogni cosa risaputa si celi ancora qualcosa degno di essere pensato”.
Sarò telegrafico, esponendo in forma
apodittica (per mezzo del puro ragionamento) la mia tesi, che ho meglio
argomentato nello studio “Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione” (Bompiani
2014, cap. VI).
“Mani Pulite”, con
buona pace delle retoriche edificanti e della “pappa del cuore” per anime
belle, fu un vero e proprio colpo di stato che rese possibile l’abbandono
del Welfare State e di quelle forme politiche che, pur corrottissime, ancora
ponevano in primo piano la comunità umana e i suoi bisogni concreti,
l’istruzione e la sanità garantite, non certo il mercato sovrano e assoluto.
La logica
dialettica di sviluppo del capitalismo è quella della progressiva estensione
della forma merce a ogni ambito e, insieme, della distruzione di ogni limite che a tale movimento si
opponga: “Ogni limite è per il capitale un ostacolo”, sapeva già
Marx. Il capitale procede allora al superamento degli ostacoli, per
imporre la forma merce ovunque, di modo da rispecchiarsi in ogni cellula della
realtà integralmente reificata (ndr: la reificazione è un concetto filosofico che viene usato per lo più in senso critico/descrittivo, al fine di evidenziare l'influenza del modo di produzione capitalistico sulla vita delle persone e sulla loro capacità di reagire a tale potere).
Ora, con la
“Prima Repubblica” vi era certo la corruzione (che non mi sogno di negare o
anche solo di ridimensionare!), ma vi era pur sempre un governo ispirato a
valori non coincidenti con quelli del mercato e, anzi, potenzialmente in grado di prendere
posizione contro di essi. DC e PCI, pur diversissimi, erano
accomunati da un’attenzione per il sociale, che oggi è scomparsa su tutto
il giro d’orizzonte, a destra come a sinistra.
Il fanatismo dell’economia doveva abbattere esattamente tutto
questo, per sostituirlo con una politica che non fosse altro che la
continuazione dell’economia con altri mezzi.
Fu ciò che,
appunto, “Mani Pulite” rese possibile.
Non era possibile farlo tramite un
aperto colpo di Stato militare, proprio come gli USA non possono
bombardare i popoli esibendo l’autentica ragione, cioè la criminale brama di
dominio imperialistico sul mondo. E, proprio come gli USA, dal 1989 ad oggi (in
quella che, con Costanzo Preve, ho definito la “quarta guerra mondiale”), bombardano
sempre in nome dei diritti umani e della libertà, della democrazia e
dell’umanità, analogamente “Mani
Pulite” distrusse i diritti sociali e una politica non ancora subordinata
integralmente all’economia, e lo fece in nome della lotta alla corruzione e della
giustizia, dell’onestà e della questione morale.
Lo fece, cioè,
trovando l’appoggio di un’opinione pubblica artatamente pilotata e, di più,
rincretinita ad opera del circo mediatico e dal clero giornalistico, tramite
parole d’ordine come “lotta alla corruzione” e “onestà”; parole d’ordine che,
trovando subito il consenso universale, fecero sì che gli italiani acconsentissero e, di più, volessero la
distruzione dell’Italia stessa come Paese sovrano e non ancora
integralmente sottomesso al fanatismo economico.
Il grado di
ipocrisia fu, grosso modo, lo stesso che riscontriamo abitualmente nelle
politiche estere statunitensi: la lotta contro la corruzione divenne il casus belli per
distruggere lo Stato, la politica e i diritti sociali conquistati e, dunque, per aprire l’esiziale (ndr: disastroso) ciclo delle privatizzazioni in nome del sacro
dogma – sempre ripetuto ancora oggi nelle omelie neoliberali – della
competitività in assenza di lacci e lacciuoli dello Stato.
Non
diversamente, gli USA continuano a usare barbuti dittatori come pretesto per
massacrare i popoli (Iraq, Libia, etc), sempre in nome – citando Preve –
dell’interventismo umanitario, del bombardamento etico e dell’embargo
terapeutico.
Questo è il punto.
Occorreva
attuare la cosiddetta “rivoluzione liberista”, ossia la privatizzazione
neoliberale dell’intera società, con l'aziendalizzazione del sociale, la rimozione
del diritti sociali (sostituiti dai diritti civili, innalzati a soli diritti
esistenti), la distruzione della politica, la sostituzione dei politici con maggiordomi
della finanza e del vecchio capitalismo europeo dotato di welfare
state con il capitalismo selvaggio americano senza diritti e
garanzie.
Questo fece Mani Pulite, con buona pace
delle grandi narrazioni ripetute urbi et orbi dalla propaganda
ufficiale.
Mani Pulite fu un colpo
di Stato giudiziario ed extraparlamentare con cui, in coerenza con la nuova
politica globale, si era precocemente iniziato a distruggere il lascito di
uno Stato sociale di stampo keynesiano, sia pure in preda alla corruzione.
Si aprì, così, nel consenso generale e
nel trionfo di scene patetiche, come quella del lancio delle monetine a Bettino
Craxi, il ciclo irresistibile di politiche interscambiabili di
centro/destra e di centro/sinistra, in un’alternanza senza alternativa, in cui
a vincere era sempre e solo il mercato, sempre e solo il nesso di forza
capitalistico, sempre e solo il fanatismo dell’economia.
Da qui, occorre tornare a riflettere, per
comprendere le vicende degli ultimi vent’anni, il piano inclinato che ci ha
portati dove attualmente siamo.
Articolo di Diego Fusaro
Fonte: scenarieconomici.it
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