Solo un demente può
scambiare per un mezzo successo la catastrofe italiana sigillata dall’ultimo
vertice di Bruxelles: il Paese che fu di Mattei, Moro e Pertini torna a casa
scondinzolando per aver “ottenuto” dai padroni d’Europa il permesso di spendere 200 miliardi di euro, ma solo
se farà il bravo. Una parte di quei soldi, la fetta più grossa, li dovrà
restituire: sono soltanto un prestito. L’altra parte è a fondo perduto, ma non
certo gratis: per averla, il paese dovrà
obbedire al padrone, rassegnandosi a tagliare il welfare e alzare (ancora) le
tasse, altro che abbassarle.
Stiamo parlando di un Paese
che, da tre decenni, è in avanzo primario: lo Stato spende, per i cittadini,
meno di quanto i cittadini gli versino sotto forma di tasse.
Per
inciso, il Paese in questione ha l’acqua alla gola, dopo i tre mesi di folle
blocco imposto all’economia da
un governo di spettri, sorretto da partiti terrorizzati dall’idea di affrontare
le elezioni.
Secondo
Bankitalia, si profila un autunno
allucinante: una famiglia su tre non saprà più come arrivare a fine mese. Si
temono rivolte, e per questo il governo-fantasma ha nel cassetto la proroga
dello stato d’emergenza, per poter imporre un nuovo coprifuoco come quello,
delirante e suicida, già inflitto nella primavera peggiore della storia repubblicana col pretesto
di un allarme sanitario mostruosamente manipolato.
Dettaglio tragicomico, di fronte all’immane disastro che si
annuncia, il tempo che una parte del pubblico ancora spreca attorno a quella
pericolosa nullità politica chiamata Giuseppe Conte, piccolo passacarte
allevato tra i palazzi vaticani e le italiche baronie universitarie, per
poi essere sistemato – nel caso tornasse utile – nelle retrovie del movimento
finto-giustizialista creato a colpi di “vaffa” dall’ex comico democristiano
Beppe Grillo, presente (Bonino dixit) sul panfilo Britannia nel 1992 insieme a
Mario Draghi e al gotha finanziario che puntava a spolpare il Balpaese,
devastato dal ciclone (colpo di stato?) Tangentopoli.
Negli
ultimi anni, l’Italia politica ha digerito comparse e prestanome al servizio di
stranieri, rivoluzionari all’amatriciana e lacchè gallonati. Nomi pallidi,
tutti, per politiche pallide: Veltroni e Renzi, Salvini, Letta e Gentiloni,
fino agli inguardabili figuranti del grillismo di lotta e di poltrona.
L’unico
segno di vita, nell’Obitorio Italia, s’era intravisto all’esordio dei
gialloverdi, con due richieste: Paolo Savona all’economia e una timidissima espansione del deficit. Risultato: il
“niet” dello Stato Profondo italo-europeo. Mesto ripiego, l’incresciosa
insistenza sullo scandaloso business dei migranti, da cui lo sdegno
“antirazzista” degli “antifascisti” (che dormivano, quando il neonazismo vero,
finanziario – quello dei poteri forti – si sbranava il loro Paese).
Ed è proprio su un’Italia agonizzante e trasformata in farsa –
il derby deprimente tra Salvini e le Sardine – che è stata sganciata la bomba
nucleare, la palingenesi antropologica del coronavirus. Forse, gli apprendisti
stregoni non erano così certi di riuscire a trasformare gli uomini in topi. Il
risultato ha superato ogni aspettativa: ancora oggi, si vede gente circolare
all’aperto con il volto travisato dalla museruola raccomandata dall’Oms e,
quindi, dai suoi camerieri italiani travestiti da ministri. Se esistesse la
macchina del tempo, sarebbe esilarante paracadutare in questa Italia personaggi
del secolo scorso come Bettino Craxi, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer.
Vivevano in un Paese dove esistevano ancora leader e statisti, partiti,
sindacati, editori puri, giornalisti. Era un Paese vitale e invidiato, che
arricchiva i cittadini stimolando l’economia col
deficit, per creare servizi avanzati e realizzare infrastrutture strategiche.
Aveva tare enormi: il divario Nord-Sud, l’elefantiaco para-Stato improduttivo, la
mafia, un’elevatissima corruzione e il record europeo di lavoro nero ed
evasione fiscale. Quell’Italia era, comunque, la quinta potenza industriale del
pianeta. Un Paese rispettato, capace di stabilire relazioni speciali con gli
arabi e con l’Urss, nonché di rivendicare la sua quota di sovranità in modo
anche clamoroso, come a Sigonella.
Da trent’anni, l’Italia gira per l’Europa col cappello in mano (e il conto lo fa pagare innanzitutto
agli italiani). Amato, Ciampi, Draghi, Prodi, Napolitano, Berlusconi, D’Alema,
Letta: è lunghissimo l’elenco dei personaggi cedevoli, complici di poteri
extra-nazionali o, comunque, proni allo stillicidio della spietata
precarizzazione sapientemente imposta dal potere ordoliberista e mercantilista, spacciato per Unione Europea.
Un
progetto pluridecennale, pianificato a tavolino a partire dal Memorandum Powell
del lontano 1971, passando per il manifesto “La crisi della democrazia”, fino all’invenzione francese del
tetto del 3% alla spesa pubblica e agli infernali trattati (Maastricht,
Lisbona), che hanno segnato la condanna delle economie sud-europee, in primis
quella italiana.
Colpo
di grazia, il governo Monti e l’obbligo del pareggio di bilancio, che annulla –
di fatto – il ruolo dello Stato, riducendolo a mero esattore e rendendo carta
straccia la Costituzione antifascista del 1948.
Ora siamo alle comiche finali: quel che ancora resta in piedi,
dell’Italia, verrà divorato a stretto giro (leggasi: piano Colao) per far
fronte agli impegni-capestro che “Giuseppi” ha appena contratto coi soliti
strozzini, intenzionati a “finire il lavoro” cominciato trent’anni fa a bordo
del Britannia. Con la differenza che oggi l’Italia è allo stremo: avrebbe
bisogno, subito, di centinaia di miliardi e, invece, vedrà solo briciole, col
contagocce, a partire dal 2021. La catastrofe incombente, lungamente preparata
con decenni di guerra sporca contro i diritti sociali, ora rischia di far
collassare il Sistema Paese, grazie al disastro planetario della gestione
terroristica del Covid, in cui l’Italia ha offerto la peggior performance in
assoluto: in percentuale, abbiamo avuto più morti del Brasile e siamo l’unica
nazione industriale europea messa in ginocchio dalla mancanza di aiuti
governativi.
Col
passare dei mesi, o forse soltanto delle settimane, sarà chiara a tutti la
verità che i grandi media
fingono di non conoscere e, cioè, che da questo orrore si può uscire soltanto
stracciando i trattati europei, a partire da Maastricht, e gettando al macero
anche la cartaccia appena firmata dall’infimo Giuseppe Conte.
Giorgio Cattaneo
(“Addio Italia, Conte
prenota la fine del sistema-paese”,
dal blog del Movimento Roosevelt del 21 luglio
2020)
Testo e foto da Idee
Libre
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