“Vacciniamo” i bambini da una religione che li mette in croce
L’idea
di un rapporto sui danni della dottrina cattolica è recente, nella forma di
divulgazione popolare. Nella mia attività professionale e clinica ho avuto modo
di verificare e raccogliere una serie di connessioni tra modalità formative che
tendono a deprimere l’identità psico-affettiva nella costituzione evolutiva
della persona e le inevitabili conseguenze nella determinazione del destino
individuale e sociale dell’uomo. Il mondo reale è, infatti, una
rappresentazione di ciò che è stato impresso nella fase costituente dell’Io.
Alice Miller, per esempio, ne “La persecuzione del bambino” cerca con ansia di
mettere in guardia gli educatori dagli effetti della pedagogia nera della
religione. Ma la stessa razionalità è utile solo se possiamo educare a riconoscere
gli stili formativi che producono un accumulo di cattiveria, di distruttività e
di infelicità nell’uomo. L’insegnamento cristiano è falsamente improntato
all’amore universale: basta guardare il simbolo genetico del cristianesimo, il
crocifisso e ciò che esso rappresenta, per capire la componente di ambivalenza
sadica e masochista che questo “amore” veicola nell’inconscio dei bambini.
Il sacrificio come premessa, l’esordio della vita nella colpa,
l’inquietante percezione di un uso distorto dell’autorità del genitore,
equiparato a Dio, nell’espropriare il corpo del figlio e nel farne l’oggetto da
distruggere per le proprie incarnazioni mistiche. Quale amore ha bisogno
di sacrifici umani? Può la salvezza dell’umanità derivare dalla disgrazia
procurata a un incolpevole? Si tratta di perversione, di cannibalismo affettivo
e domestico! Come può accadere che una tale deviazione della coscienza si
affermi in modo così radicale nella cultura dell’Occidente? Perché l’intellettualità europea, salvo poche
eccezioni, per lo più originate dall’ambiente di cultura ebraica, non sa
rilevare l’evidenza di una tale incongruità con i precetti fondamentali del
rispetto umano? Perché ci si ostina a ritenere degne di fede false acquisizioni
razionali e a falsificare la storia stessa
senza suscitare una opposizione netta tra coloro che si dicono laici? Ho
cercato di dare le risposte a questi quesiti in due saggi: “Pinocchio eroe anticristiano. Il codice della nascita nei processi di
liberazione” (Edizioni Sapere, Padova, 2000), e “Il furore di Nietzsche. La nascita dell’eroe e della differenza
sessuale” (Cleup, Padova, 2005).
Ora, con l’estendersi dell’interesse su questi temi, al di fuori
della tradizionale banalità dell’ateismo che cercava di dimostrare la non
esistenza materiale di Dio, il gruppo dell’axteismo si è prefisso di registrare
i danni della esistenza di Dio come categoria della mente e dell’educazione di
massa. Dov’era Dio, si chiedono in tanti, mentre in Europa imperversavano i roghi
crematori della Shoà? Il Dio cristiano e antigiudaico della tradizione era là!
Logica conseguenza dell’odio che aveva seminato per secoli e anche, in quegli
anni, sulle pagine dell’organo vaticano, la “Civiltà Cristiana”. Era assente
solo sui banchi degli imputati a Norimberga, dove si è negata la verità
inconfutabile che gli ebrei sono stati perseguitati in quanto tali – ebrei – da
una identità culturale altra ed egemone: i cristiani!Mai il cristianesimo ha
subito le conseguenze dei suoi insegnamenti ambigui, di un amore sadico,
improntato alla sofferenza come valore e all’infelicità dell’esistenza reale.
Da Annamaria di Cogne ai giovani assassini di Satana, la cronaca registra
le forme del disagio radicato nelle istanze della religione che continua
impassibile a rivendicare per sé il diritto all’egemonia sull’etica e sulla
morale.
E’ invece evidente che la presenza dei valori cristiani
(sopportazione, peccato, sangue e demonio) è stata l’unica istituzione sempre garantita
nei luoghi del degrado umano ed economico, non solo non riuscendo ad apportare
modifiche strutturali alle cause della sofferenza, ma legandosi in modo
complementare e ambivalente con le dinamiche stesse dell’ingiustizia e
dell’ignoranza. Soluzioni? Al di là di un auspicabile risveglio della ragione
di fronte alle palesi deformità introdotte dalla religione cristiana, cattolica
in particolare, nelle basilari nozioni di igiene degli affetti e del rispetto
umano; al di là delle incredibilmente gravi (e in parte inesplorate)
responsabilità storiche che un amore così immaturo ha inculcato nella
soggettività dell’Occidente,
resta ancora non risolto il nodo centrale della comprensione profonda di questo
fenomeno. Non è sufficiente contrapporre il darwinismo al conato del
creazionismo nelle tendenze regressive del presente. E’ necessario aprire gli
armadi di una conoscenza così gravosa da recepire in termini estesi, da essere
rifiutata largamente anche nelle fasce della popolazione “di sinistra” in Italia.
Dietro la religione e i suoi dettami di crudeltà oggettiva nei
rapporti pedagogici tra generazioni, si legittima il motore stesso
dell’alienazione sessuale della donna (quindi dell’intera umanità), la sua
esclusione da una completa individuazione e responsabilità sociale. La
mistificazione di questo importantissimo tema è tale da riferire l’ambito delle
discussioni unicamente al conflitto tra sessi. Niente di più sbagliato. Lo
studio dell’esegesi analitica del mito, come accade con lo studio dei sogni e
del simbolismo in generale applicato alla letteratura e all’arte, rivela nel
racconto cristiano (eucaristia, spirito santo e pos-sesso sulla figlia Maria,
negazione del ruolo del padre, incarnazione nel corpo dei figli con le stimmate
sessuali femminili del sangue e del dolore) l’estensione in termini
socializzati della psicologia della Grande Madre intesa nel senso junghiano
(Erich Neumann, “Storia delle origini della coscienza”, Astrolabio).
L’alienazione della donna madre, unitamente all’enorme potere neuro-affettivo che il
mistero del parto-creazione comunque le conferisce (nella fisiologia dei
mammiferi), connota l’identità dell’Eterna Fattrice di una attribuzione divina
da sempre riconosciuta nelle culture di ogni epoca, a partire dalle più remote.
La religione in genere, in Occidente la
religione cristiana, è esattamente l’espressione più coerente della psicologia
della Grande Madre. Da qui deriva l’invisibilità e la radicale impunibilità
delle istanze anche sadiche (ma ammantate di profonda affettività) del
cristianesimo. Da qui l’assoluta incongruenza tra buon senso, ragione e fede.
La madre può sbagliare, essere immatura negli affetti, esigere tributi di
sangue, e tuttavia conservare intatta la forza del suo potere che le deriva dall’aver
“pettinato” i neuroni e l’identità affettiva dei nati da lei, uomini e donne.
Dalla natività di un essere destinato al rito di sangue e martirio, al
controllo delle istanze sessuali e di generazione, alle perversioni mistiche
del corpo martoriato esposte dalla ginecologia religiosa dell’arte sacra, la
religione non è solo un’istanza del potere politico o culturale: essa è innanzitutto la realtà di una
inveterata e radicata violenza domestica, una affezione profonda perseguita con
tenacia anche da chi non si dice praticante e tuttavia, difende il
cristianesimo nella sua essenza.
Per lo stesso motivo il cristianesimo ha resistito ad ogni
critica razionale, anche se riconosciuta valida e dimostrata. Ma non è più
lecito tollerare un uso anti-umano del potere degli affetti, diretto specialmente contro i bambini e
la loro aspettativa di vita! Alla base di tutto ciò, c’è un paradosso
intrinseco alla natura sessuale dell’umanità che evidenzia come solo la figlia,
in quanto femmina, può divenire più grande e potente del suo creatore, che è la
madre. Unicamente lei, non il maschio vezzeggiato, può procreare e mettere in
mora il ruolo di potere generazionale
della madre! Solo alla luce di questa premessa si possono comprendere i legami
di senso che uniscono riti crudeli contro la giovane donna, che non è ancora
madre, come l’infibulazione (rito di ingresso della giovane nel clan delle
donne adulte), la cacciata con maledizione e colpa della figlia Eva dalla
gratuità domestica per partorire con dolo e dolore, e – peggiore di tutte – lo
spossessamento del corpo e della sessualità della figlia Maria da parte della
madre spirito-santo, trinità cristiana che già incorpora il sistema intero di
padre e figlio.
Alcuni lessici del linguaggio comune rivelano la natura
matriarcale della Chiesa: “Don” è contrazione di “donna”, è anche il suono del
batacchio sotto la gonna-campana, iconologia della madre che in sé trattiene il
figlio-fallo, nella fattispecie il prete; “duomo” è la fusione di donna-uomo: i
frati recano il cordone ombelicale ancora non reciso alla vita, le suore il
velo placentale segno di possesso della madre; il divieto all’uso della
sessualità sottolinea la centralità e l’obbedienza all’unico sesso della madre.
Nel caso del racconto dei Vangeli, la giovane donna semplicemente viene privata
del diritto di succedere alla madre nel potere di una autonoma procreazione; l’infelicità che ne
consegue si riverbera nel rapporto con l’uomo, nel masochismo congenito che la
lega al persecutore, nella depressione post-partum o sterilità. Maria non ha
sesso e non ha un amante, che invece la tradizione ebraica conferisce ad Eva.
Lo stesso tema del conflitto tra matrigna e figlia viene trattato, ma risolto
(!), nelle fiabe: Cenerentola, la Bella Addormentata, Biancaneve.
L’entità unica matriarcale proposta dal modello cristiano
imperversa, invece, nell’illusione di vivere due esistenze in una: la sua e
quella della figlia che le appartiene per diritto di invidia (individia). Il
figlio Cristo, esito nella figlia di questa mancanza di riconoscimento della
proprietà sessuale, prodotto di un tale spossessamento, nato per caso inopinato
(per virtù dello Spirito Santo e non di una libera scelta), non può che essere
un… povero cristo! E tale sarà il suo destino. Sul suo corpo reso femminile con
la ferita nel costato (da cui era nata Eva) e dagli attributi di innocenza,
passività ed esclusione, convergono le istanze femminili irrisolte
dell’infelicità e dell’immaturità affettiva. Lo scarico sul corpo mistico
dell’uomo femminilizzato e mestruato (Cristo, Che Guevara o Padre Pio)
costituisce il punto di saldatura e di scarico emotivo della innaturale fusione
tra madre e donna (ma-donna), sempre a scapito della giovane e del rinnovo di
generazione. Ecco che Cristo ha una funzione lenitiva attraverso la
rappresentazione della sua morte nel ma-sacro (sacralità materna). In questo
modo il cerchio mistico dell’incesto cristiano si alimenta di dolore,
perversione e controllo.
Guai a toccare questa figura sanguinante, avvolta nel sudario
della placenta sindone! Si tollera l’intollerabile pur di non riconoscere il
conflitto tra generazioni al femminile! Cosa si può fare per porre rimedio a
questa barbarie nella civiltà degli affetti? Provate voi a spiegare alle masse
di “credini” (credenti passivi) e “fedenti” (credenti in cattiva fede) quali
istanze innaturali e contrarie alla naturale emancipazione della sessualità si
riproducono nella formazione pedagogica cristiana. Noi da tempo combattiamo una
battaglia impari contro le istituzioni alienate dello sfruttamento che,
conseguentemente e coerentemente con la disumanità del credo, si sono
stabilizzate in accordo e reciproco sostegno con la religione. Non è forse vero
che, in economia,
ogni Azienda Madre controlla e possiede le azioni delle sue filiali? Non è
forse vero che il nazismo (primato di nascita e madre-patria) e il razzismo
fondino le loro ragioni sul diritto di sangue e di appartenenza forzata, che
sono attributi del codice materno? E i misfatti sanguinosi delle “nostre cose”,
nella tragica epica di Cosa Nostra, non sono forse ascrivibili ad una
affiliazione di mafia intorno al corpo centrale del “mammasantissima”?
Non è semplice capire fino a che punto si estendano le implicazioni
di una sub-cultura matriarcale degli affetti al tempo stesso potente, disumana
e incontrollata. Essa confonde uomini e donne in una esistenza crudele e
alienata. Chi riporta danni psicologici, in seguito a una certa dottrina, può
essere recuperato? Occorre mettere in atto strategie di recupero e di
consapevolezza in larghi strati della popolazione. Sempre Alice Miller dimostra
la ineluttabile relazione tra formazione affettiva e qualità della vita.
Tuttavia in Italia, non una sola ora di educazione alle ragioni della laicità è
stata organizzata nei programmi scolastici nazionali! Eppure lo Stato italiano
è nato su criteri di latinità pre-cristiana, la scienza (Giordano Bruno, Galilei)
si è costituita intorno ad un nucleo anticristiano, il Rinascimento è stato
possibile solo grazie alla riscoperta dei classici greci, l’antifascismo e la
Liberazione non ha visto il Vaticano attivo contro i regimi, bensì schierato
dall’altra parte.
Il meglio prodotto in Italia (compresa l’arte sacra, che non era
certo frutto di stinchi di santo) è stato ispirato da una visione laica e
democratica della vita e del corpo. Proporre la necessaria questione della
emarginazione del cristianesimo nel novero delle opzioni del privato incontra
oggi una resistenza fortissima, in tutti i settori. Nella migliore delle
ipotesi si tende a sminuire il problema e a lasciare intatte le contraddizioni.
Non si pensi tuttavia che questa sia una battaglia di retroguardia: è la prima
volta che si pone in modo cosciente e radicale la proposta concreta di rendere
visibile al largo pubblico le responsabilità, non solo storiche, ma formative e
causali del cristianesimo. Il problema è la fede in sé o l’apparato che ogni
religione monoteista costruisce intorno al proprio credo? Il credo monoteista
sta ad indicare la centralità del ruolo sessuale della madre (anche se incarna
corpi maschili) nel costruire la dinamica degli avvenimenti della realtà.
Perfino la storia recente
dimostra che la religione è più efficace della politica nel determinare gli eventi; per questo è importante
che si voglia sapere dei reali contenuti trasmessi.
Di per sé la religiosità è un fattore umano compatibile con la
civiltà, a patto che si sia consapevoli delle istanze che si veicolano nel
racconto di fede che poi diviene prescrizione e istanza morale. Sarebbe altresì
necessario che le rappresentazioni religiose e rituali rimanessero tali, ossia
distinte dall’imposizione di un credo che confonde il simbolico con il reale.
Per esempio, il fatto di celebrare la festa della nascita a dicembre con il
rito dei doni da parte di Babbo Natale non deve imporre la necessità
dell’inganno sulla reale esistenza di un personaggio della fantasia come se
fosse reale! Una cosa è la naturale progressione che i bambini attuano nel
distinguere la fantasia dalla realtà, altra cosa è la pelosa e deleteria
attitudine degli adulti di vedere realizzate le proprie istanze di
insoddisfazione infantile facendo credere per forza l’esistenza del falso.
Forse che non si può giocare o godere di un rito gioioso sapendo che è un rito
in quanto tale?
Le religioni monoteiste non sono uguali negli effetti delle
istanze da esse inoculate fin dalla più tenera età. Non sempre è facile
riconoscere, nel confronto, il grado di pericolosità; infatti, concorrono altri
fattori nelle società a influenzare gli effetti del credo. In Occidente la
cultura laica e razionalista ha attenuato enormemente gli effetti già deleteri
del cristianesimo; oltre alla secolare reclusione e sterminio degli ebrei, si
pensi all’analogo scempio attuato nelle Americhe: è un vizio congenito al cristianesimo,
la crudeltà. Nei paesi arabi l’islamismo non si giova di una analoga
progressione sociale. L’ebraismo ha invece individuato le corrette radici del
problema, proponendosi in termini di patto (Akedà) tra generazioni. Sempre la
madre si pone nel ruolo di Dio (l’appartenenza ebraica è matrilineare), ma
conferisce il potere della
legge terrena (Dio verso Mosè) al ruolo paterno. L’esatto opposto della
regressione cristiana, che rimanda il padre nella vacuità dei cieli o nel
pleonasmo di un vecchio e sterile sposo. Nell’ebraismo la madre ideale è colei
che è disposta a separarsi dal figlio purché egli viva (il giudizio di
Salomone); nel cristianesimo la madre è entità globale, indistinta, inglobante
e distruttiva, come la Grande Madre del clan o gregge pre-sociale.
Sergio Martella |
Ogni religione rimane comunque una opzione implicita della
coscienza su temi che invece sono alla portata della comprensione umana. Meglio
sarebbe una civiltà fondata sulla capacità di rappresentare, senza obbligo di
fede, tutte le istanze dell’animo umano. La tradizione dei Greci in questo
è maestra. Dibatterne pubblicamente? Personalmente non esito a rischiare
attacchi personali o scomuniche di varia natura, poiché ritengo una battaglia
di assoluta civiltà rendere visibili gli effetti dell’ignoranza e della
malafede. Bisogna battersi in tutti i campi della società per affermare una
civiltà ed una igiene degli affetti. So per certo che è possibile. Se qualcuno
vuole reagire con la consueta violenza già riscontrata nella storia di fronte agli avanzamenti
della coscienza e della società, è avvisato: noi siamo pronti. Esiste una
minoranza numerica di individui che è già maggioranza qualitativa nel
distinguere e rendere visibili i fantasmi dell’inconscio retaggio di una
aggressività non risolta. Si tratta di individuare i percorsi di una
emancipazione ulteriore per adeguare la consapevolezza umana allo sviluppo
della tecnologia e all’inedito potere che
essa conferisce all’uomo. Le nuove potenzialità richiedono una dilatazione
della coscienza per far sì che ciò che abbiamo costruito non sia rivolto contro
di noi, ma a vantaggio di una integrazione con la natura, di cui siamo e
restiamo una cosciente emanazione.
Sergio Martella, dichiarazioni rilasciate a “Cristianesimo.it”
per l’intervista “Tesi sull’oggettiva e
palese pericolosità psichica dell’insegnamento cristiano”, ripresa dal blog
“La Crepa nel
Muro” dell’11 agosto 2014. Psicologo e psicoterapeuta, il
professor Martella è docente presso la facoltà di medicina e chirurgia
dell’Università di Padova
Contenuti e
immagini da Idee Libre
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