Marcello Veneziani |
Dove sono finiti
i Maestri? Ci sono ancora, cosa dicono, dove si annidano? E
come chiamarli, oggi, Influencer, come Chiara Ferragni o la Madonna secondo il
Papa? Facile dire che mancando un pensiero, dispersi gli intellettuali, sparito
ogni orizzonte di attesa, i Maestri sono finiti insieme ai loro insegnamenti.
Sono finiti pure i Cattivi Maestri che
come angeli ribelli all’ordine divino si fecero demoni, insegnando la via
dell’inferno come riscatto degli oppressi. Spariti pure loro. Non a caso,
l’unico italiano riconosciuto tra i cento pensatori globali che hanno lasciato
un segno, secondo la rivista Foreign Policy, non è un filosofo, ma
un fisico, Carlo Rovelli. Allora, è proprio finita, dobbiamo rassegnarci a
scegliere tra Fabrizio e Mauro Corona?
No, ragioniamoci
su. Innanzitutto, definiamo una buona volta il Maestro, anche nella variante
di Guru, Ideologo, Vate. Chi è maestro? Non solo chi trasmette un sapere ma chi
diventa un punto di riferimento, un modello a cui ispirarsi, un faro che non
esprime solo una teoria o a compiere una ricerca ma rischiara una via. Maestro
è uno che ti cambia la vita o almeno lo sguardo con cui vedi la vita. Uno che
leggendolo, ascoltandolo, trasforma il tuo modo di pensare e di vedere le cose.
Era facile al tempo delle ideologie e
dell’Intellettuale Organico, trovare Maestri e maestrini. Oggi di quel ramo ne
sono rimasti forse un paio, ma sono ai margini. Uno è il Cattivo Maestro per
eccellenza, Toni Negri,
pensatore e latitante, teorico di Autonomia Operaia e del comunismo, autore di
un’opera che ha sfondato nel mondo, Impero seguito poi da Moltitudine, due
opere no global di un internazionalista che sogna ancora la rivoluzione del
proletariato. L’altro, più defilato e meno distruttivo, è Mario Tronti, di cui è uscito
ora Il popolo perduto(ed.Nutrimenti), che piange il divorzio tra la
sinistra e il popolo e la perdita di quel mondo comunista legato alle sezioni e
alle assemblee. È ormai su un pianeta diverso un loro antico sodale, Massimo Cacciari, che in tv si è
sgarbizzato e in filosofia si è ritirato in una sfera mistica &
catastrofica. Parallelo il cammino di un altro non-Maestro, Giorgio Agamben.
Restano sullo sfondo i Vecchi Maestri Globali, ovvero
quei pensatori che fanno filosofia per le masse partendo dall’antropologia e
dalla sociologia, come Edgar Morin e Marc Augé, Hans Magnus Enzensberger e
Serge Latouche, fino a ieri, Zigmunt Bauman e Umberto Eco. Non-luogo,
Terra-Patria, Modernità liquida, Decrescita felice, Perdente radicale,
Ur-fascismo, sono paroline-mantra entrate nel gergo corrente e nel minimo
alfabeto degli Acculturati Aggiornati.
Per il resto, l’era dei social offre a
ciascuno la possibilità di un selfie e di eleggersi a maestri di se stessi per
auto-acclamazione, facendo zapping nella rete, cogliendo qua e là spunti e
citazioni.
Maestri riconosciuti in senso religioso
ormai sono solo in ambito esotico, extra-occidentale: sono guru o para-guru che
vengono dall’Oriente o che parlano nel nome di tradizioni religiose e più
spesso di sincretismi. Sulla scia di Osho, Sai Baba e altri santoni. I maestri più veri preferiscono
restare nascosti, poco accessibili se non per iniziati; vanno cercati, e non
pescati nei media o nei social.
Un segno evidente di scristianizzazione è
che non ci sono Maestri d’ispirazione cristiana, e che a dettare le regole,
anche nelle classifiche dei libri, siano gli stessi papi, come Bergoglio e Ratzinger. Più defilati
sono gli scrittori della Chiesa come don Vincenzo Paglia, Gianfranco Ravasi e
altri prelati che sfidano i tempi e le librerie. Dopo i santi, finirono anche i
maestri?
E nel mondo conservatore, nel versante
“destro” o alternativo alla globalizzazione? Resiste da decenni il maestro
della Nouvelle Droite Alain de
Benoist con una produzione incessante di saggi. Su altri versanti
regge il filosofo inglese Roger Scruton, da lontano il pensatore russo
Aleksandr Dugin. Non mancano le zampate del vecchio Regis Débray, già marxista
e ora antiglobal col suo Elogio delle frontiere.
A loro si aggiungono il matematico e
filosofo Olivier Rey che
racconta la marcia infernale del progresso in Dismisura; Fabrice Hadjadj, ebreo
tunisino convertito al cattolicesimo, autore di Mistica della carne e
Risurrezione.
Ma sfonda il muro dell’attenzione
globale Michel Houellebecq,
che ora spopola con Serotonina, ma che fu maestro di denuncia della
civiltà in pericolo con Sottomissione. Poi ci sono i numerosi maestri di
passaggio, i guru provvisori, legati a un’opera, esplosi nei social, meteore
luminose e poi presto opache. Se l’America resta il centro del mondo, i maestri
hanno una prevalenza europea, anzi francese.
E da noi cosa resta? Finito il tempo dei
Pasolini e dei Bobbio, dei Del Noce e Zolla, la filosofia sembra ormai
isterilita e intenta a proclamare il suo suicidio. Nella filosofia svetta il
pensiero degli eterni di Emanuele Severino.
O tra i maestri che aprono le porte del sacro al tempo profano, torreggia Roberto Calasso. Sono maestri
riluttanti, che non cercano discepoli, che si annodano al filo impersonale
della Tradizione o del suo surrogato, l’Editoria raffinata o che vivono la
siderale solitudine dell’Essere che pensa il Destino. In un’epoca egocentrica e
autoreferenziale, i maestri sembrano ormai vintage, antiquariato, se non
archeologia. Mancano i maestri perché mancano i discepoli.
Eppure, proprio il caos globale, l’assenza
di dei, la solitudine e lo spaesamento, la vita insensata, richiedono oggi più
di ieri pensatori guida, modelli di riferimento, figure autorevoli, supplenti
del sacro e del pensiero che aiutino a trovare una via, una casa, una visione
del mondo e della vita. Maestri che non detengono la verità ma che suscitano
almeno il desiderio di cercarla…
Marcello
Veneziani
Articolo
pubblicato su “Panorama” e ripreso dal blog
di Veneziani il 19
febbraio 2019
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