A otto anni di distanza dall’inizio
della crisi economica in Usa e in Europa (e a sei
della sua fittizia trasformazione, da crisi del sistema finanziario
privato a crisi del debito pubblico), l’Italia si ritrova con un
governo allineato con le posizioni più regressive della Troika pilotata da
Berlino e senza avere la minima idea sulle cause reali della crisi, e meno
che mai delle strade per uscirne. Nonostante la propaganda mediatica di Renzi,
afferma il sociologo Luciano Gallino, in realtà la situazione del paese è
drammatica, e il dilettantismo del governo non fa che peggiorarla: l’Italia «ha
bisogno urgente di un altro governo, che abbia compreso le cause strutturali
della crisi», e che «sappia mobilitare nel paese le competenze per
superarle». Missione impossibile? «E’ vero, ma è meglio immaginare
l’impossibile che darsi alla disperazione», scrive Gallino in un intervento sul
sito della Fiom, nel quale analizza a fondo la “trappola” dell’Unione
Europea, basata sull’euro, di cui proprio l’Italia è tra le principali vittime.
Gallino accusa gli intellettuali di aver scambiato l’Ue per
l’Europa dei popoli, trionfo dell’identità culturale europea. Secono il
sociologo, sbagliarono anche gli economisti «nel credere e far credere che le
grandi differenze di struttura industriale, produttività, composizione
delle forze di lavoro, relazioni sindacali, ricerca e sviluppo, scambi con
l’estero esistenti tra i vari Stati membri sarebbero state colmate verso l’alto
grazie ai benefici effetti di una moneta unica, l’euro». Infine, “sbagliarono”
i capi di Stato e di governo nel credere che l’Unione, in quanto fondata sul
principio “uno Stato (piccolo o grande che fosse) uguale un voto”, sarebbe
servita a contenere il predominio economico e politico della Germania.
«Beninteso, non ci furono soltanto errori», ammette Gallino. «A porre le basi
del Trattato di Maastricht sin dai primi anni del secondo dopoguerra fu il
potere economico-finanziario europeo, tramite fior di associazioni neoliberali
che rappresentavano e tuttora ne rappresentano la voce e il braccio politico».
Tra di esse la Società Mont Pelérin, la Trilaterale, il Bildeberg, la Tavola
Rotonda degli Industriali, la Adam Smith Society, alle quali si è aggiunto più
tardi il Forum Mondiale di Davos.
E’ la super-élite che Paolo Barnard chiama il “Vero Potere”, nel
suo profetico saggio “Il più grande crimine”, scritto con larghissimo anticipo
sulla devastazione che la “crisi” avrebbe scatenato. Istituzioni internazionali
come l’Ocse, aggiunge Gallino, «si sono impegnate senza tregua sin dall’inizio
per far sì che il Trattato Ue contenesse le più incisive norme possibili a
favore della liberalizzazione dei movimenti di capitale». E attenzione: «La
componente monetaria dell’Unione, fondamentale per il suo funzionamento, è
stata dettata sin nei particolari dalla Germania». Nei suoi colloqui con il
presidente francese Mitterrand, il cancelliere Kohl «fu irremovibile nel
pretendere che l’euro fosse il più possibile simile al marco; che la Bce fosse
dichiarata per statuto indipendente dai governi, una clausola mai vista negli
statuti delle banche centrali di tutto il mondo: tant’è vero che essa si è
presto rivelata essere un organo prettamente politico, che invia lettere
durissime agli Stati membri, Italia compresa, affinché taglino sanità,
pensioni e salari». Scontato, poi, che la stessa Bce avesse sede in una città
tedesca, Francoforte.
«Su queste basi – continua Gallino – l’euro è stato giustamente
definito il più efficace strumento mai inventato per tenere bassi i salari,
demolire lo stato sociale e liquidare il diritto del lavoro». A meno di 25 anni
dalla sua fondazione e meno di 15 dall’introduzione della moneta unica, la Ue
sta andando verso il disastro: «Tra il 2008 e il 2010 i governi Ue hanno speso
o impegnato 4.500 miliardi di euro per salvare le banche, ma non sono riusciti
a trovarne 300 per salvare la Grecia, la cui uscita incontrollata dall’euro
potrebbe far implodere l’intera Ue». Gli squilibri tra gli Stati membri sono
aumentati, anziché diminuire, a tutti vantaggio dell’élite tedesca: «Ad onta
della normativa Ue che impone di limitare l’eccedenza export-import, la
Germania continua ad avere eccedenze dell’ordine di 160-170 miliardi l’anno,
uno squilibrio che potrebbe contribuire al fallimento dell’Unione». Intanto, la
disoccupazione è diventata una piaga storica, una tragedia che ormai colpisce 25
milioni di persone. Quelle a rischio povertà sono oltre 100 milioni. E in vari
paesi – Grecia, Italia, Spagna – la inoccupazione giovanile oscilla tra il 40 e
il 50%, un tasso mai visto da quando essa viene censita.
Le disastrose politiche di austerità imposte dai governi per conto
delle istituzioni Ue (in aperta violazione delle leggi internazionali
sul diritti dell’uomo) hanno colpito con durezza i sistemi di
protezione sociale e l’istruzione, hanno paralizzato la manutenzione delle
infrastrutture (ponti, dighe, strade, trasporti, viadotti, argini: per
risanarli ci vorranno migliaia di miliardi). Le misure di austerity hanno
spinto nella povertà altre masse di persone, anche in quella Germania «che
proprio dell’impoverimento dei vicini aveva fatto il perno della
sua politica economica». La popolazione, continua Gallino, reagisce a
quanto avviene in due modi: non andando a votare nella misura del 60% per
l’unico organo Ue democraticamente eletto, il Parlamento Europeo, con punte
dell’80% nei nuovi Stati membri, e dando «un largo e crescente consenso alle
formazioni di estrema destra, in Francia, Italia, Polonia, Ungheria». Gli
elettori non hanno memoria del pericolo che l’estrema destra rappresenta
per la democrazia? In realtà, «nella Ue la democrazia è stata
già da tempo svuotata di senso dalla oligarchia politico-finanziaria di
Bruxelles e dintorni».
Data la situazione attuale, Gallino vede solo due possibilità, una
peggio dell’altra: un collasso catastrofico dell’Unione Europea oppure la
sopravvivenza dell’euro-regime, che finirebbe di vampirizzare gli Stati membri,
fino all’ultima goccia di sangue. Un crollo potrebbe essere innescato da un
singolo paese, «costretto a uscire dall’euro perché a causa del suo bilancio
pubblico strangolato dalle politiche di austerità non riesce a pagare i suoi
creditori privati, i quali sono tanto stupidi da non rendersi conto che è
sempre meglio un debitore che paga poco, in ritardo e a rate, di un debitore
che non può pagare niente perché è stato imprigionato a causa del suo debito».
Gallino ricorda lo scrittore Daniel Defoe: imprigionato per debito nel 1692,
riuscì a convincere il governo inglese a introdurre una riforma che permetteva
al debitore di continuare a lavorare e produrre reddito, in modo da poter
rimborsare almeno in parte i suoi creditori piuttosto che marcire inoperoso in
prigione. «Al confronto, la Troika è in ritardo di tre secoli».
L’altro rischio “sistemico” è quello rappresentato dalle grandi
banche, zeppe di titoli tossici. Lo stesso Barnard ha più volte denunciato il
caso della Deutsche Bank, che sarebbe esposta per una cifra mostruosa, 70.000
miliardi di euro. «E’ la banca più fallita del mondo: un buco visibile anche
dalla Luna». Dall’inizio della crisi, scrive Gallino, alcune delle
maggiori banche europee, a cominciare dalla britannica Hsbc, hanno pagato
decine di miliardi di dollari a causa di varie penalità che hanno accettato di
pagare alle autorità americane ed europee per non arrivare a un processo
relativo alle loro infinite violazioni delle leggi finanziarie. «Ma è possibile
che a un certo punto un processo arrivi, e le sue conseguenze siano tali che la
banca interessata fallisce perché né il suo governo né le istituzioni
europee dispongono più dei mezzi per salvarla, da cui un effetto domino che
travolge sia la Ue che l’euro».
Il secondo scenario prevede invece che la Ue e l’euro sopravvivano
alla meglio per altri venti o trent’anni, «cucendo rappezzo su rappezzo
istituzionale per far fronte ai sempre più diffusi segni di malcontento di nove
decimi della popolazione, impoverita e tartassata dal lavoro che manca, dalla
distruzione dei sistemi di protezione sociale, dai continui diktat oligarchici
della Commissione Europea e delle Bce che esautorano totalmente i governi
nazionali senza dare nulla in cambio». Intanto, «il decimo al vertice della
stratificazione sociale continua ad arricchirsi a spese degli altri nove:
dopotutto, è per esso che i trattati Ue sono stati confezionati». Uscirne
sarebbe facile, dice Gallino (è la stessa tesi di Marine Le Pen). Ovvero: la Ue
dispone la soppressione consensuale dell’euro e il ritorno alle monete
nazionali, con parità iniziale di 1 rispetto all’euro. «Si potrebbe anche
prevedere che l’uscita dall’euro sia decisa paese per paese, di modo che se
qualche Stato membro lo volesse fare ne avrebbe facoltà, mentre altri
potrebbero tenersi l’euro».
Anche la soppressione dell’euro presenta dei rischi? «In ogni
caso, sarebbero inferiori a quelli che oggi corre la Ue sia per i suoi difetti
strutturali, sia per la possibilità che l’uscita improvvisa di un paese – si
tratti della Grexit, della Brexit (sebbene la Gran Bretagna non abbia l’euro) o
altro – rechi seri danni agli altri». Di certo i rischi «sarebbero accentuati
dai paesi – in primo luogo la Germania – che dall’euro hanno tratto i maggiori
vantaggi». Piano-B: mantenere in vita l’euro facendo però circolare una moneta
fiscale parallela, nazionale. «Da moneta unica, l’euro diventerebbe così una
moneta comune». Moneta “fiscale”: significa che suo il valore sarebbe
assicurato dal fatto che essa verrebbe accettata per il pagamento delle
imposte, e sarebbe comunque garantita dalle entrate fiscali. Se ne parla da
tempo in Francia, nel Regno Unito e anche in Germania. Il problema è politico:
chi mai avanzerebbe la richiesta di abbandonare o sterilizzare l’euro? Forse la
Grecia, forse la Spagna nel caso in autunno vincesse “Podemos”. «Da parte del
governo italiano in carica un atto simile è inimmaginabile, essendo il medesimo
del tutto allineato sui rovinosi dogmi di Bruxelles».
da: Idee Libre
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