domenica 19 aprile 2020

Il problema non è che mentono, è che con il loro cervello lavato ci credono


«Orwell ha intuito che, nel futuro/presente di cui egli parla, si dispiega il potere dei grandi sistemi sovranazionali e che la logica del potere non è più, come al tempo di Napoleone, la logica di un uomo. Il Grande Fratello serve, perché bisogna pur avere un oggetto d'amore, ma basta che egli sia un'immagine televisiva». (Umberto Eco)

Torniamo a Orwell che non sbagliamo mai. Alla fine, per come la giri e per come la meni, ti accorgi che Nostradamus era un dilettante rispetto all’impareggiabile George (Orwell), il quale ebbe il merito, non solo di prefigurare il nostro futuro, ma di farlo così bene da essere, con un secolo di anticipo, più accurato e profondo del più raffinato intellettuale vivente.
Ebbene, c’è un episodio nel suo capolavoro, “1984”, in cui O’Brien, uno sgherro del Governo totalitario, cerca di convincere Winston, il povero protagonista dissidente, che 2+2 fa 5.
La cosa interessante è questa: Winston non deve solo dire una menzogna: troppo facile. Egli deve realmente convincersi di quella menzogna, deve pronunciarla non per compiacere il suo carnefice, ma per plagiare in maniera non più ricusabile il proprio cervello.
Alla fine ci riesce. È la vera, tombale, vittoria del regime. Un   regime “serio” – questa la straordinaria intuizione di Orwell – non vince davvero se ti costringe a pensarla come lui. Quella è roba da dilettanti della camicia nera del ventennio, è una vittoria di Pirro del manganello.
I regimi perfetti vanno oltre: ottengono dalla coscienza e dalla intelligenza delle loro vittime una resa totale e incondizionata. Essa consiste non nella disponibilità a mentire, ma nella trasmutazione della menzogna in verità.
Oggi, ciò si è compiutamente realizzato rispetto a diverse faccende, ma in primis con riferimento a quella della cosiddetta “solidarietà”, degli “aiuti pubblici”, della “potenza di fuoco”. Insomma, di tutti i marchingegni, più o meno perversi, con cui le istituzioni (europee o nazionali) ci starebbero “aiutando”.
Qual è il minimo fattor comune di tutte queste iniziative? Le “sponsorizziamo” noi, indebitandoci.
Che sia la BEI, il MES, i Corona bond, il Sure, o qualsiasi altro “apparecchio”, la verità è una: i cittadini “aiutano” se stessi tirando fuori più soldi di quelli ricevuti, e cioè impegnandosi a restituire il presunto atto di generosità del Potere Costituito, più gli interessi, per i decenni a venire. L’esempio più eclatante sono i famosi 400 miliardi del Governo.
Spacciati dall’esecutivo come un gigantesco piano Marshall, sono in realtà un macroscopico programma di indebitamento collettivo. Niente è a fondo perduto, nulla è “regalato” dallo Stato. Ogni singolo centesimo proviene dalle banche e dovrà essere restituito, sotto pena di pignoramenti, da privati e famiglie.
Se ci pensate, è l’apoteosi della mentalità usuraria. Ma non è questo il punto. I nostri partiti, e soprattutto il Partito Democratico, puntello insostituibile dell’attuale Sistema di ingiustizia sociale serializzata, sono specialisti in materia. E lo fanno senza vergogna, oltre che senza dignità.
Qualche anno fa introdussero addirittura l’APE sociale: il pensionato indebitato per pagarsi una pensione anticipata. Tuttavia, il vero problema, se analizzate fino a fondo la cosa, non è economico: è psicologico. Chiunque ha ancora un briciolo di coscienza critica “vede” queste cose.
Il dramma è il numero enorme di soggetti, sia tra i governanti che tra i governati, che non le “vedono” più. Alcuni,  quando parlano di “impegno straordinario”, di “sfida epocale”, certamente mentono sapendo di mentire, ma moltissimi altri mentono “non” sapendo di mentire. Sono giunti allo stadio di intossicazione cronica della coscienza di cui parlava Orwell, quello dove 2+2 fa 5, quello dove il cancro terminale della nostra civiltà (l’usurocrazia bancaria) è “sinceramente” visto e divulgato come la migliore medicina.
Se non svegliamo la bella (massa) addormentata, il bacio del Principe sarà il bacio della morte.



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UN'EPIDEMIA IDENTICA AL CORONAVIRUS NEL 2012 ERA STATA PROFETIZZATA IN UN LIBRO DI SYLVIA BROWNE

Sylvia Browne (all'anagrafe Sylvia Celeste Shoemaker, Kansas City, 19 ottobre 1936 - San Jose, 20 novembre 2013) era una sensitiva proveniente da una famiglia di medium.
Personaggio controverso e spesso al centro del dibattito, raggiunse il successo grazie alle sue straordinarie esperienze medianiche, avute sin da quando era bambina.
Molto celebre in America, i suoi libri sono bestseller tradotti in tutto il mondo. In Italia ha pubblicato per Mondadori molti volumi, tra cui: La vita nell'AldilàProfezieFenomeniSocietà segreteVita da veggente e Tutti gli animali vanno in paradiso.
La Browne partecipò, come consulente per polizia e FBI, alle indagini di oltre 100 casi di sparizione e omicidi. 
Nel 2012, un anno prima di morire, scrisse, insieme a Lindsay HarrisonProfezie (in inglese End of Days”), un libro dal sottotitolo "Che cosa ci riserva il futuro".
Ed è proprio guardando nel futuro che l'autrice, già anni fa, aveva previsto, tra le altre cose, un'epidemia che tanto sembra ricordare l'attuale Coronavirus.
La frase che colpisce da subito leggendo il libro è: “Entro il 2020 gireremo con mascherine e guanti per via di un’epidemia di polmonite”.
Poi spiega:Mascherine chirurgiche, guanti di gomma e una patologia che attacca i canali bronchiali e sembra refrattaria a ogni tipo di cura”. Oggi, con il senno di poi, nelle parole di Sylvia Browne si possono leggere richiami a eventi e fatti sfortunatamente attuali.
La sensitiva nel libro aggiunge che: "Dopo aver provocato un inverno di panico assoluto, quasi in maniera più sconcertante della malattia stessa, improvvisamente svanirà con la stessa velocità con cui è arrivata, ma tornerà all’attacco nuovamente dopo dieci anni e, poi, scomparirà completamente” e per sempre.
Profezia o conoscenza di qualche carteggio riservato, tenendo conto della sua lunga collaborazione con polizia e Fbi?
Nino Caliendo

domenica 15 marzo 2020

Coronavirus. Boris Johnson, premier britannico, neoliberista cinico e spietato: “Abituatevi a perdere i vostri cari” ha annunciato



Abituatevi a perdere i vostri cari è una frase raggelante in sé. Ma è il pronome sottinteso, quel “voi” in luogo del “noi”, a mettere ancora più angoscia.
I giornali britannici giudicano “solenne”, benché “cupa”, la frase con la quale il premier Boris Johnson ha annunciato il suo modello di intervento: lasciar correre il virus, pagare il dazio di un’infezione fino al 60 per cento della popolazione e uscirne fuori, quando sarà, con la cosiddetta “immunità di gregge”.
Ha, dunque, annunciato il sacrificio di migliaia di suoi connazionali. Annunciandolo con una irresponsabilità che sembra senza pari, ha già immaginato chi sarà buttato dalla rupe Tarpea: i più fragili e sfortunati, i più poveri, insomma!
Johnson, col suo incredibile e raccapricciante messaggio alla nazione, ha notificato al popolo inglese una sentenza senza appello. La classica sentenza neoliberista: si salveranno i più forti.
E, per “più forti”, troppo spesso s’intende i più ricchi.
Il ricco si può curare, magari in una clinica privata. Il ricco, vista la mala parata, può fuggire, magari in una villa di Nizza.
Il povero no, deve combattere il virus con le proprie forze. I poveri saranno costretti ad attendere la decimazione. Saranno costretti ad abituarsi a perdere i propri cari”.
Cari miei, questo è il neoliberismo!
Testo e immagine da Il Fastidioso

martedì 10 marzo 2020

Pericolo tentazioni: usare l’emergenza per un golpe, in testa il Mes

Prof. Alessandro Mangia

Il coronavirus sembra non volerne sapere dei modelli matematici fatti apposta per ingabbiarlo: le cifre crescono, e così assistiamo a una moltiplicazione dell’incertezza, mentre si consuma il balletto quotidiano dell’indecisione del governo. Attenti: il momento è propizio per instaurare uno “stato d’eccezione”. Lo afferma il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, intervistato da Federico Ferraù sul “Sussidiario“. «L’emergenza – spiega Mangia – consente di fare infinite cose che in condizioni normali non si potrebbero fare», dalla nomina di un “commissario al coronavirus” fino alla firma del Mes, passando per l’introduzione forzata del wireless 5G. Esistono precedenti: all’indomani del terremoto di Messina del 1908, lo Stato neo-unitario inventò l’istituzione del decreto-legge. «La disciplina dell’emergenza si è sviluppata simultaneamente in tutta Europa, e se n’è fatto ampio uso durante e soprattutto subito dopo la Prima Guerra Mondiale: basti pensare a una calamità come l’influenza spagnola, che uccise soltanto in Italia quasi 400.000 persone». Un giurista come Santi Romano diceva che l’emergenza è una fonte del diritto: «Vale sicuramente per il coronavirus. Pensiamo al decreto-legge 6/2020 appena varato dal governo e ad altro che potrebbe arrivare».
È improprio – si domanda Ferraù – evocare la presa del potere di Hitler in Germania nel 1933? No, risponde Mangia, «perché avvenne attraverso lo stato d’emergenza, dovuto alla crisi del ’29 e preceduta dall’enorme controversia sui poteri emergenziali dell’allora capo dello Stato, maresciallo Hindenburg. È quello che si ripropone, non so quanto consapevolmente, quando si chiede a Mattarella di mettere un commissario straordinario che gestisca l’emergenza al posto del governo». La tempesta dello spread – ricorda Ferraù – nel 2011 portò alla caduta di Berlusconi e all’arrivo di Monti. Fu Napolitano, in quel caso, a gestire lo “stato d’eccezione”. «Nel 2011 – conferma Mangia – si era creata un’emergenza i cui presupposti mi sembrano molto meno naturali del coronavirus. E sulla base della quale si è realizzata la Seconda Grande Cesura nella storia della Repubblica, dopo Tangentopoli. Questa sarà la Terza». Siamo a un livello di gravità così elevato? Ovvio, secondo il professore: «Davvero si può pensare che, dopo questa situazione, l’Italia sarà uguale a prima? Nelle Regioni del Nord, alla sospensione dei legami sociali è seguito lo stop economico. L’Italia intera è in quarantena, e chi lo nega è fuori dalla realtà. Stiamo assistendo a un 8 Settembre a bassa intensità, e non sappiamo cosa verrà dopo».
Come valutare l’operato del governo? Pesa anche «l’utilizzo, non si capisce se incauto o doloso, dei media e della comunicazione», che di fatto ha ingigantito la situazione di emergenza, che dall’Italia si è propagata all’estero. «La conseguenza è la sistematica cancellazione degli ordinativi per le imprese italiane e per il turismo, registrata ovunque: complimenti davvero». Dal canto loro, Francia e Germania «hanno un quadro politico interno fortemente destabilizzato». Basti pensare ai Gilet Gialli, «e al fastidio verso un governo sfilacciato e incapace di gestire la crisi delle esportazioni in Germania». Non volendo anche l’emergenza da coronavirus, i tedeschi «hanno mentito», e ora vedremo «con quali risultati». Se non altro, secondo il professore, il sistema sanitario italiano «ha solo meriti: essendo mediamente il migliore d’Europa, dopo la Francia, ma con punte d’eccellenza che la Francia non ha, ha più antenne per cogliere i segnali, e quindi ci ha dato più segnali». Tradotto: «Più tamponi positivi, più contagi, più malati». Ribadisce Mangia: «Tutto si sarebbe potuto gestire in modo molto diverso, se non ci fosse stata l’ossessione della discriminazione razziale verso la comunità cinese».
Il professore definisce «demenziale» la scelta di chiudere i voli dalla Cina, «invece di mettere tutti gli arrivi in quarantena, come hanno fatto tutti i Paesi del mondo, a prescindere che fossero bianchi, gialli, neri o venissero da Marte». Non è stato fatto, «perché c’erano troppe navi Diciotti, Gregoretti e Sea Watch sullo sfondo, troppo razzismo e fascismo ritornante da usare». Un sospetto: è interesse del governo alimentare lo stato di emergenza per legittimarsi? «L’emergenza accade, prescindendo dal fatto che qualcuno sia interessato», premette Mangia. «Creato lo stato d’emergenza, l’occasione fa sempre l’uomo ladro: l’emergenza distrae e consente di fare infinite cose che normalmente non si potrebbero fare». Ad esempio? «Procedere a tappe forzate verso l’unione bancaria. Blaterare di 5G in spregio a maggioranza e opposizione. Inveire contro ministri che non hanno dato quanto promesso e farsi capipopolo per un giorno. Tra Italia ed Europa, con quello che sta accadendo, il momento è irripetibile. Per questo ed altro».
Intanto, ricorda Ferraù, servono misure straordinarie a sostegno dell’economia. Qualcuno è tornato ad evocare il Mes, il fondo europeo “salva Stati. Perché non ricorrere alla sua capacità di prestito? «Affidarsi al Mes sarebbe un errore clamoroso», sostiene il giurista. «L’attivazione del Mes farebbe scattare un meccanismo folle, per cui potrebbero essere richiesti all’Italia, dall’oggi al domani, fino a 125 miliardi». Insiste Mangia, rivolto a Ferraù: «Sa come funziona quella che lei ha chiamato “capacità di prestito”? Ci siamo impegnati a versare fino a 125 miliardi in 5 anni. Al momento ne abbiamo versati soltanto 14. Attualmente il Mes opera con una dotazione limitata; in caso di attivazione emetterebbe obbligazioni al pari di una banca sovrana, immune da qualunque giurisdizione, richiamando dagli Stati membri le quote dovute e non sottoscritte. Vuol dire che, in caso di bisogno – e una pandemia europea lo sarebbe – potrebbe chiedere allo Stato italiano fino a 125 miliardi». Dove li prendiamo? «Andrebbe chiesto a Gualtieri e a tutti coloro che invocano il Mes come il buon samaritano. O il governo fa un’emissione straordinaria di titoli di Stato che nessuno comprerebbe, o va a prendere i soldi dai conti correnti degli italiani. Come? Vedi alla voce “patrimoniale”».
E cosa farebbe poi il Mes con questi soldi? «Ce li presterebbe indietro, contro interessi, con gli auguri dell’Europa e la scusa del meccanismo assicurativo e della solidarietà europea. Andremmo quindi a pagare l’interesse sui nostri soldi. I soldi del fondo salva-Stati ci sono solo in minima parte; per averli, il Mes deve chiederli agli Stati che hanno sottoscritto il trattato». Un modo per indebitarci ancor di più: una trappola. «Il banco vince sempre. E il Mes è stato costruito per essere il banco». Momento irripetibile anche per questo, dunque, se scatta lo “stato d’eccezione”. Infatti: «Una volta i provvedimenti più sgradevoli venivano messi in Gazzetta Ufficiale ad agosto, quando gli italiani erano in vacanza e pensavano ad altro. Proprio come adesso stanno pensando a non ammalarsi e a come arrivare a fine mese». Il guaio, aggiunge Mangia, è che il Mes «è caduto in un limbo informativo creato ad arte, e non se ne è saputo più nulla». Sappiamo soltanto che il 16 marzo è stato calendarizzato un Eurogruppo, la cui agenda sarà resa nota solo una settimana prima, forse. «Sarebbe la situazione ideale, legittimata da ragioni di eccezionalità, per arrivare all’adozione del trattato in nome dell’emergenza».
In questa situazione, intanto, il ministro Gualtieri parla di risorse aggiuntive e straordinarie da 3,6 miliardi, pari allo 0,2% del Pil. «Ne servirebbero almeno 20», dice Mangia. «Un pacchetto insufficiente sarebbe invece un ottimo modo per invocare soluzioni eccezionali. Vedi sopra». E l’invocazione di un commissario? «È l’approdo classico degli stati d’emergenza in cui il caos è tale per cui alla fine si invoca il vecchio dittatore del diritto romano». Il Cincinnato della situazione: «Si dice che Cincinnato ebbe la caratteristica di tornare al suo aratro. Ma nella storia di “dittatori” che l’hanno fatto se ne sono visti pochi.
Potremmo anche chiamarli “civil servants”, o riserve della Repubblica, ma la sostanza non cambierebbe». Ma poi: «Se si ha cura di rileggersi il Tito Livio del liceo, ci si accorge che Cincinnato che torna all’aratro è una frottola per anime belle. La verità è che, dopo la prima, Cincinnato si è fatto la seconda dittatura, e anche dopo quella è restato in giro per un pezzo». Secondo Alessandro Mangia, «bisogna stare lontani da idee del genere, Mes compreso, come si sta lontani dal fuoco. Chi propone queste idee è pericoloso».

E allora quale sarebbe la soluzione? Tenerci il Conte-bis? «Questo governo ha dimostrato chiaramente di non essere in grado e di non avere gli uomini per gestire la situazione», osserva Mangia. «Serve un governo di unità nazionale, che si dia un programma di reinvestimento in infrastrutture facendo più deficit», Cosa che «si può tranquillamente fare, perché nei trattati le situazioni di emergenza sono contemplate». Non dimentichiamoci che «nei conti correnti italiani ci sono soldi che in altri paesi non ci sono: questo è il vero primato italiano, assieme a sanità e pubblica sicurezza». Punti di forza «che altrove ci si sogna di avere, e che fanno funzionare l’Italia, nonostante tutto». Ma così avremo più debito pubblico. «Sì, e magari ricominceremmo a crescere, usandolo come leva per lo sviluppo», conclude il professore. «Questa è una crisi che può portare o allo sfacelo dello Stato, o al rinnovamento delle politiche economiche. Purtroppo ci vorrebbe una classe dirigente all’altezza, che non abbiamo».


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lunedì 20 gennaio 2020

A beneficio del gregge, l’ambientalismo dei burattini stupidi



È vero, stiamo rovinando l’ambiente. È vero, stiamo depredando il pianeta delle sue risorse naturali. È vero, stiamo avvelenando l’aria, l’acqua e i cibi che mangiamo.
Ma problemi del genere, che sono di portata globale, richiedono soluzioni complesse e ragionate e non ci si può certo accontentare di gesti simbolici che servono solo ad acquietare, momentaneamente, la nostra coscienza, ma non possono minimamente intaccare i problemi che abbiamo di fronte.
Sembra, invece, che ultimamente si sia scatenata una gara a chi riesce a inventare la soluzione più stupida per far vedere che lui ha capito come si fa a risolvere il problema ambientale.
La capofila di queste stupidità è proprio Greta Thunberg, che ha deciso di non viaggiare più in aereo “perché gli aerei inquinano”. Ma pensare oggi di abolire i voli aerei è assolutamente ridicolo, come è ridicolo pensare di poter modificare, in modo sostanziale, il modo in cui funzionano i loro motori. Talmente ridicolo, fra l’altro, è stato il gesto di Greta, che poi per riportare indietro la barca a vela che l’aveva trasportata fino a New York hanno dovuto andarci - in aereo naturalmente - quattro marinai. Per cui, per un biglietto aereo risparmiato da lei, ne sono stati acquistati quattro per l’equipaggio di ritorno.
Ma Greta è stata solo la apripista delle idiozie “a impatto zero”. Ultimamente la rivista Vogue Italia ha deciso di cavalcare l’onda ambientalista con una scelta tanto spettacolare quanto ridicola: hanno fatto un intero numero della loro rivista senza fotografie (che è un po’ come se la Ferrari facesse un’automobile senza il motore; tanto per capirci, le riviste di moda sono le loro fotografie). E la loro spiegazione è stata talmente stupida che non riesco a riassumerla con parole mie, devo per forza citare la dichiarazione originale dell’editore: “Lo scopo di questa scelta coraggiosa è, semplicemente, di essere più sostenibili”.
Che cosa ci sia di così sostenibile nell’evitare di fare le fotografie ce lo spiega il direttore di Vogue Italia, Emanuele Farneti: “150 persone coinvolte. Una ventina di voli aerei e una dozzina di viaggi in treno. 40 automobili a disposizione. 60 consegne internazionali. Luci che vengono spente ed accese senza sosta per almeno 10 ore, parzialmente alimentate da generatori a benzina. Avanzi di cibo per alimentare le troupes. Plastica per avvolgere i vestiti. Elettricità per ricaricare i telefoni, le macchine fotografiche…
A questo punto - verrebbe da dire - smettiamo anche di produrre film, perché se la produzione di alcuni servizi fotografici ha un tale impatto ambientale, quella di un semplice film ne ha 100 volte tanto. Lo sapete quanti voli aerei servono per realizzare un film internazionale, quanto mangia ogni giorno una troupe cinematografica, quante volte accende e spegne la luce entrando in studio, quante automobili si muovono durante la realizzazione e quanti telefonini e cineprese bisogna alimentare ogni giorno con la corrente elettrica? Torniamo quindi ai cartoni animati, con quattro disegnatori segregati in cantina e diciamo addio al cinema una volta per tutte.
Ma la vera follia di un gesto del genere è che venga proprio da una rivista come Vogue. L’alta moda, infatti, rappresenta la quintessenza del superfluo, la quintessenza dello spreco, la quintessenza del lusso, la prevalenza assoluta dell’apparire sulla sostanza. Per non parlare dello sfruttamento della manodopera nel terzo mondo, dove buona parte degli stilisti fa produrre propri tessuti per due lire, per poi rivendere i vestiti “griffati” a cifre stratosferiche. Ma loro, invece di chiudere una rivista del genere e andare a lavorare in fabbrica, preferiscono sostituire le fotografie con dei disegnini (per un mese soltanto, sia chiaro), per lavarsi la coscienza sul problema ambientale senza minimamente intaccare un’industria dai profitti miliardari.
Veniamo ora al terzo esempio, perché è il più ridicolo di tutti. L’attore Joaquim Phoenix ha deciso di usare sempre lo stesso smoking, da adesso in avanti, per tutti i premi che andrà a ritirare. Dall’articolo dell’ANSA leggiamo: “Phoenix, vegano e ambientalista convinto, ha fatto la scelta consapevole di avere lo stesso tuxedo per l'intera stagione dei premi (dove, c'è da giurarci, sarà protagonista con allori) per ridurre sprechi e avere un'impronta green coerente al suo attivismo.”
E’, infatti, noto come la produzione massiccia di smoking da cerimonia sia una delle cause principali del disboscamento della foresta amazzonica, dell’inquinamento atmosferico e dell’estinzione delle balene.
Pensate che bello se, invece di una scemenza del genere, Joaquim Phoenix avesse detto: “Da oggi, mi presenterò a ritirare qualunque premio mi venga assegnato vestito esclusivamente di abiti di canapa. La canapa infatti è un prodotto pienamente ecosostenibile, che non inquina e che non porta alcun danno ambientale nella sua coltivazione”.
Ma un discorso del genere avrebbe significato essere intelligenti e di intelligenza al mondo a questo punto sembra restarne molto poca.
Massimo Mazzucco
Articolo e foto da: Luogo Comune

mercoledì 25 dicembre 2019

Il Natale è ormai un pacco vuoto. Chi crede ancora alla fiaba di Joshua bar Joseph (dall’ebraico: “Gesù figlio di Giuseppe”), in arte Gesù?

Natale è la vera festa dei cattolici: dovrebbe essere, in realtà, la Pasqua la quale contiene e condensa in pochi giorni (o, addirittura, ore) tutta la vicenda di un certo Joshua bar Joseph (Gesù figlio di Giuseppe), che sarebbe diventata la colonna sonora di due millenni di storia, oggi conclusa, terminata, smarcata dalle cronache religiose del pianeta. Vedremo poi.
Già, Natale…però il Natale, celebrando la nascita del Redentore delle Anime, sconfessa apertamente chi non aveva riconosciuto in lui il Davide, il Grande Re Davide che avrebbe riportato alla gloria il grande popolo d’Israele. Non l’hanno riconosciuto? Ben gli sta! Giù la testa!
Se il grande regno di Davide mai non giunse, anche il surrogato – ossia il povero Joshua bar Joseph – non fu una gran trovata. Ossia, lo fu sotto l’aspetto secolare, di potere – indubbiamente servì a tanto per superare la crisi dell’Impero Romano e trasformarlo nel Sacro Romano Impero, con annessi e connessi – ma fallì totalmente sotto l’aspetto della religione e, soprattutto, della contigua filosofia religiosa. Prima di partire, ricordiamo una curiosità: il primo a godere dell’appellativo di Pontifex Maximus (pressappoco “guida suprema”) fu…Giulio Cesare! Dopo di lui, tutti gli imperatori romani.
Bisogna partire da lontano per capire tutto l’arzigogolo, e quando si dice da lontano quel “lontano” è, niente popò di meno che…Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus, in arte Nerone, quinto imperatore romano. Perché?
Perché Nerone aveva ben compreso che il futuro dell’Impero non era nella lontana Britannia o nella riottosa Germania, bensì nel Mediterraneo: ossia, voleva spostare il baricentro dell’Impero verso Oriente, non verso l’inospitale Nord. Nel 67 d. C. si recò in Grecia e concesse a tutti i Greci l’immunità, qualcosa che si avvicinava alla cittadinanza romana, ed iniziò a meditare che Alessandria d’Egitto (seconda città dell’Impero) aveva tutti i crismi per diventarne la prima: la Biblioteca – che, oggi, definiremmo “un grande polo universitario” – il grandioso porto e la posizione geo-centrica di quello che lui immaginava il futuro dell’Impero. E la religione? Le tradizioni? Beh…ci penseremo…in Oriente si trova di tutto…
A Roma non furono molto d’accordo, e lo fecero fuori. Ma il dado era tratto: nemmeno 60 anni dopo, Adriano ammetteva “Christus” fra gli dei onorabili a Roma, sempre che i seguaci lo onorassero nel Pantheon romano e non come unico Dio. Ma la strada era tracciata. S’era intorno al 120 d. C.
Ci furono ancora lotte, discriminazioni, uccisioni…ma, due secoli dopo, Costantino sanciva il passaggio definitivo, quello della religione cristiana come unico credo del regno. E, annessa, vi fu la prima truffa dei cristiani, ossia la cosiddetta “donazione” di Costantino (mai avvenuta) poi codificata nel Constitutum Constantini, un testo apocrifo del IX secolo d. C. la quale concedeva al papato non la guida della Chiesa, bensì una specie di titolo di imperator, ossia la supremazia su qualsiasi regno o (futuro) feudatario del grande impero. La frittata (un colossale falso storico) era sfornata, ed era nato lo Stato della Chiesa.
Per i secoli a seguire, dunque, i Papi non furono le guide religiose che tutti pensiamo ed immaginiamo nella nostra tradizione, bensì i Re d’alcuni possedimenti italici e gli imperatori dell’ex Impero Romano, perché avevano nelle mani uno strumento potente per mantenere quel primato (che usarono più volte), ossia la scomunica. Furono Pontifex Maximus dei re ed imperatori d’Europa.
Non ci dobbiamo perciò meravigliare dei fasti della corte papale, delle molte concubine, delle mille corruzioni, delle sanguinose lotte di potere…non dimentichiamo che molti Papi non furono nemmeno preti, oppure furono nominati cardinali da bambini…erano dei regnanti, stop. Machiavelli scrisse che gli italiani crebbero “senza religione e cattivi”, poiché allevati in quei torbidi consessi, nei quali la gestione del potere era “santificata” da qualcosa che, di veramente santo, non aveva niente.
Ma venne la prima punizione.
Un oscuro monaco agostiniano germanico, Martin Lutero – dopo una visita a Roma nella quale vide quel che vide, non ultimo il commercio, venale, delle indulgenze, che lo terrificò – tornato in Germania (e sotto la protezione di Federico di Sassonia) pubblicò le famose 95 tesi affiggendole sulla porta della Chiesa di Wittemberg. Era il 1517, era la Rivoluzione.
Lutero voleva tornare ad un Cristianesimo più puro, mondato da ogni coinvolgimento secolare che la Chiesa Romana, ovviamente, non poteva concedere, senza correre il rischio d’enormi perdite, territoriali e di ricchezza.
La prima avvisaglia di come i Protestanti desideravano “accomiatarsi” dal potere romano avvenne nel 1527, con il Sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi: 20.000 morti ed il resto della popolazione in fuga. Per “scalzarli” da Roma il papa dovette pagare 400.000 ducati d’argento. Cash.
La risposta, da Roma, venne nel 1545 con il Concilio di Trento e fu una risposta totalmente di chiusura, con la proibizione del possesso degli antichi testi biblici (in greco ed aramaico): solo la Vulgata – pessimo titolo! – ossia la Bibbia in Latino visionata e distribuita solo da Roma. E la creazione del Sant’Uffizio (la futura Inquisizione) e dell’indice dei testi “scomunicati”.
Gli ultimi a ricevere questo “trattamento” furono Simone de Beauvoir, Gide, Moravia e Sartre (!). Li precedettero, praticamente, tutti i “pilastri” della civiltà moderna occidentale, da Cartesio in poi, e l’ultimo Papa passato sullo scranno del Sant’Uffizio, poi divenuto “Congregazione per la dottrina della Fede” fu papa Ratzinger, tuttora vivente, Benedetto XVI.
Insomma, in barba a tutti i “consigli” che giungevano dall’esterno, la Chiesa Cattolica non ha deviato di un’unghia, non ha discusso con nessuno, non ha accettato nessun “bonario” consiglio.
Ha continuato a non concedere rogatorie nemmeno quando le vicende dello IOR (la Banca Vaticana) sprofondavano, più che nella tragedia, nella farsa. Pedofilia, niente, preservativi, nulla, divorzio, ignorato. Salvo concederlo, già a Trento (1545), per le coppie di neri che erano state battezzate dai missionari e poi vendute, schiave, a differenti proprietari. Una vera e propria chicca: un’attenzione perfetta per le esigenze del commercio! La giustificazione? Qualcuno aveva potuto leggere le pubblicazioni dell’atto? Magari affisse su un albero della foresta equatoriale? Penosi.
Ma la nemesi giunge da dove meno te lo aspetti. Stavolta non c’è più un monaco che affigge delle tesi su una chiesa per chiederne la discussione, per avviare una ricostruzione di quel credo suggerito (pare) molto tempo prima da un oscuro pescatore/predicatore della Galilea. Rivisto e purgato – in primis Paolo di Tarso, poi Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino eccetera, eccetera… – per l’udito e la forma mentis dei greci e dei latini dapprima, poi per i loro eredi.
Quando un edificio si mostra troppo vecchio per resistere ancora allo scorrere del tempo, quando non sono stati eseguiti per tempo i necessari lavori di ristrutturazione, entrano in funzione le ruspe demolitrici: non c’è altra soluzione.
La “ruspa” – addirittura comico! – sgattaiola fuori dal garage delle Edizioni San Paolo di Roma, ma non affigge tesi per discutere, non chiede udienza, non dà alla vetusta istituzione cattolica nemmeno l’appiglio di un confronto: “non voglio intromettermi fra ciò che pensano e credono i cattolici rispetto alla loro Fede”. E’ ciò che Mauro Biglino ripete, anche se sa benissimo che non ci potrebbero essere più roghi per bruciarlo.
Magari, però, una pallottola vagante potrebbe sempre manifestarsi: i tempi cambiano e gli inquisitori accettano anche qualche “suggerimento” della modernità. La morte del comandante delle Guardie Pontificie, Alois Estermann (mai chiarita), della moglie e di un caporale, è stata una sparatoria degna di un film di Sergio Leone. Proprio accanto all’appartamento del Papa.
Così, dalle Bibbie più antiche – guarda a caso quelle proibite nel ‘500 con l’Inquisizione – salta fuori, traducendo letteralmente, che il potente e “glorioso” Dio Javhé viaggiava nei cieli su un “carro di fuoco”, mentre i suoi “cherubini” assomigliavano più a delle guardie del corpo che agli angioletti del presepe.
Ma anche il Nuovo Testamento è stato “rivisitato” – soprattutto grazie all’acume “greco” di Paolo di Tarso – e, dunque, una vicenda interna alla comunità ebraica, uno scontro fra fazioni discordi ed un fallito assalto al tempio di Salomone, ha creato i prodromi per la creazione di una nuova religio, visto che quella vigente nella Roma imperiale era in forte crisi, pervasa e stravolta da nuovi credi.
Mentre era stato proibita dal Senato la pratica dei Baccanali, i culti di Cibele, Iside e, soprattutto, Mitra erano entrati a far parte del Pantheon Romano, scombussolandone le radici, che risalivano addirittura al primo re, Numa Pompilio. C’era bisogno di “aria nuova”: che durò per due millenni.
Oggi, osservando con occhio disincantato e senza nessun tipo d’acredine, possiamo affermare che la religione Cattolica sia ancora uno dei “perni” del vivere italico?
Vivo di fronte ad una chiesa, che si dice sia stata un “luogo” dei Templari, e nella quale è stato anche girato un pessimo film (The broken key) sull’infinita saga dei cavalieri antichi e delle moderne società segrete.
Le campane, a parte le ore, suonano musichette che sembrano il “liscio” dei Casadei: mai più ascoltato una musica sacra. Rari matrimoni e battesimi, più frequenti i funerali, con un solo denominatore: niente che abbia a che vedere con una pratica sacra, ma solo cerimonie mondane, allegre o tristi, ma solo mondane. Abiti eleganti le donne, camicie e cravatte gli uomini: per quel che ne so, una liturgia spenta senza più nessuna tensione religiosa verso il sacro, il supremo, l’assoluto inconoscibile.
Le statistiche ci dicono che circa la metà della popolazione italiana si dice cattolica, ma coloro che si dicono credenti e praticanti sono soltanto il 22%. Ci sono, poi, un 10% circa che appartiene ad altre religioni, ed un 14% che, genericamente, “crede in Dio”. Questa è, sostanzialmente, la situazione.
Al di là della sfera religiosa, gli italiani che credono molto o abbastanza alle coincidenze rappresentano ben il 53% mentre il 41% crede nella fortuna, il 25% nella reincarnazione, il 24% nella predestinazione dell'anima, il 21% nei miracoli dei guaritori, il 18% nel karma, il 17% nell'astrologia, il 16% nella presenza di alieni sulla Terra, un altro 16% nella jella e nel malocchio, sempre il 16% nelle sedute spiritiche, il 14% nella possessione diabolica, il 9% nei tarocchi e un altro 9% nella magia. (Sondaggio Adnkronos)
Sembra quasi l’identica situazione del tardo Impero Romano anzi: forse peggio.
Eppure, continuiamo a definirci un “Paese cattolico”: in ogni modo, felice Natale a tutti!

Carlo Bertani
“Regalo di Natale, con ammennicoli vari”, dal blog di Bertani del 22 dicembre 2019

Contenuti e immagine da: Libre Idee

lunedì 23 dicembre 2019

Cile: violenza di Stato con la maschera di miracolo economico neoliberista

I cittadini cileni protestano contro le false notizie
diffuse dai media di regime
Lo stipendio medio di un cileno non arriva ai 350 euro mensili, mentre in poco tempo il biglietto della metro è quadruplicato, arrivando a costare 1 euro (come da noi). La crisi che sta attraversando il Cile in questi giorni non si può racchiudere tutta nei due numeri appena citati, però rendono bene l’idea del “miracolo” economico liberista in Sudamerica. Non so voi, ma a me ogni volta che discuto di economia latinoamericana, viene rifilata la solita manfrina del virtuoso Cile, nazione che al contrario degli altri paesi sudamericani avrebbe abbracciato la libera economia di mercato con continuità. “E’ il paese più stabile del Sudamerica”; “almeno in Cile non ci sono sacche di socialismo reale”; “in Cile sembra di stare in Europa”. Queste, più o meno, le considerazioni che sentiamo ripetere da anni. Di solito, vengono pronunciate come considerazioni di tipo politico, magari riferite al dittatore Pinochet, ai diritti umani, alla tortura e all’amicizia del caudillo cileno con l’ultraliberista inglese Margaret Thatcher. In altre parole, se tutti riconoscono in Pinochet un dittatore, molti sono pronti ad attenuarne le responsabilità giocandosi la carta del “miracolo” economico del Cile, della crescita del Pil a ritmo del 6 per cento annuo.
La piazza della protesta dopo il coprifuoco
Nelle immagini di questi giorni, con le autoblido dei carabineros che si accaniscono sulla folla spappolando i femori dei manifestanti, abbiamo finalmente modo di accorgerci di questo “miracolo” con i nostri occhi. Occhi che almeno in Europa continuiamo a preservare, mentre secondo le testimonianze di Santiago i manifestanti perdono l’uso della vista a causa dei lacrimogeni. Le donne che vanno in pensione, nella stragrande maggioranza, non arrivano ai 250 euro mensili, mentre gli uomini pochi centesimi di più. Ma non è tanto questo: in molti paesi del Sudamerica gli stipendi sono questi o anche più bassi, ma è la sproporzione col costo dei servizi e l’abuso del credito a fare la differenza, e ciò accade perchè i servizi essenziali in Cile – contrariamente ad altre parti del Sudamerica – sono privati, non pubblici. Ecco allora che la situazione (tremenda!) di Cuba, dove gli statali hanno uno stipendio mensile che non arriva ai 30 euro al mese, può apparire persino migliore di quella cilena. A L’Avana un biglietto di sola andata costa 8 centesimi e l’abbonamento mensile dei trasporti 2 euro; quindi la situazione non è migliore del Cile, ma almeno a Cuba l’accesso a scuola e sanità sono gratuiti, mentre sotto il regime di Piñera, no.
In Cile, in questi anni, la gente comune è andata avanti facendo debiti con le banche, anche solo per fare la spesa al supermercato: altro che crescita del Pil al 6 per cento! In Cile, comunque, la protesta sul costo dei servizi era iniziato tranquillamente, ma la polizia, in solito stile Sudamericano, si è comportata in modo terrificante, come se un banale flash-mob fosse sinonimo di colpo di Stato. Ma come già detto non è solo una questione di trasporti. La situazione antidemocratica del Cile si trascina ormai da decenni. In buona sostanza, dopo l’omicidio di Salvador Allende, cos’è successo in Cile da un punto di vista pratico (cioè senza scomodare grafici e tabelle)? Che Pinochet ha creato due paesi diversi: uno per i ricchi, ed uno per i poveri. In quello per i poveri, se ti ammali, puoi tranquillamente crepare prima di essere curato. Se, invece, appartieni alla classe ricca, allora puoi permetterti un servizio privato e salvarti. Non è difficile da capire. Non occorre scomodare la curva di Laffer, le supercazzole di Michele Boldrin, la scuola austriaca, Polanyi, Cottarelli, Elsa Fornero e Carlo Marx. Il liberismo è questa roba qua. E solo un cretino o una persona in malafede non lo vuole capire. 
Spesso, tuttavia, cretinismo e disonestà intellettuale coincidono.

Massimo Bordin, “Il ‘miracolo’ economico del Cile”, dal blog “Micidial” del 22 dicembre 2019

Articolo ripreso da: LibreIdee.org

Le foto sono di Mauro Santoro e sono state riprese sul web da SputnikNews.com in quanto, in mancanza di indicazioni contrarie, sono state ritenute di pubblico dominio

lunedì 11 novembre 2019

Poteri dominanti, tecnologia e burattini dominati che credono di essere liberi chattando

È assolutamente essenziale che, in una società che si voglia dire veramente libera e composta da uomini e non da manichini, venga sempre mantenuta da chi governa la possibilità, per tutti i cittadini, di poter delinquere e infrangere le leggi.
Forse gli idioti che gestiscono il sistema non lo hanno capito. O forse, invece, lo hanno capito benissimo. E ad essere idioti, son tutti gli altri.
Fatto sta che è così. È assolutamente così.
Dopo aver perso il controllo su di noi, sul nostro corpo, sulle nostre passioni, sulle nostre reazioni, ora stiamo via via perdendo anche il controllo sui nostri mezzi. Le macchine circolano da sole, posteggiano da sole, frenano da sole. La casa è gestita da una “mignotta” elettronica (virtuale), che di nome fa la coniugazione al femminile del computer di “2001 Odissea nello Spazio”, e che ci accende le luci, ci spegne la caldaia, ci prepara il caffè, ascolta quel che diciamo al vicino e poi informa Google circa le prossime pubblicità da spedirci via mail.
Tutto ciò che ci circonda è “smart”, nel senso che ci assicura la comodità di non preoccuparci di parecchi dettagli a cui, invece, provvedono direttamente i nostri stessi aggeggi. Dettagli da poco, per carità.. Questioni che, banalmente, hanno a che fare con tutte le piccole scelte quotidiane che, finora, facevamo da soli. E a cui, adesso, pensano direttamente le mille cose che acquistiamo, credendo illusoriamente di possederle. E, proprio come diceva quel deficiente durante una pubblicità di non so più quale compagnia telefonica, la “libertà” che possiamo meritarci sta ormai consistendo, sempre più, nel “non dover scegliere”.
In nome di una criminale, liberticida “sicurezza”, in un mondo in cui le cose ci spiano e ci possiedono, esultiamo ebeti di fronte alle automobili che rispettano da sole i limiti di velocità, impedendoci di trasgredirli. Di fronte alle telecamere che scoraggiano qualsiasi illegalità, facendo leva sul deterrente del controllo a distanza. Alle transazioni di denaro e ai conti in banca sistematicamente “monitorati” da Equitalia, per impedir qualsiasi tentazione di evasione fiscale.
Noi esultiamo, sì. Diciamo: “Io mica ho niente da nascondere”. Diciamo: “E’ più sicuro. E’ più comodo!
E il processo va avanti. E andrà avanti così. Le cose ci si scaraventeranno contro. Al prossimo giro i cruscotti delle nostre automobili ci stamperanno in faccia le multe ad ogni nostra infrazione. Poi, semplicemente, si arresteranno a ogni rosso. O si metteranno d’accordo tra loro, su chi di volta in volta abbia la precedenza all’incroci.
E noi saremo liberi! Liberi di chattare anche durante il viaggio. Di postare foto del cazzo mentre la macchina ci porta in ufficio, eccetera eccetera.
C’è solo un particolare. Un piccolissimo particolare.
Idioti come dei secchi vuoti, privi di memoria (perché a ricordare ci penserà già l’agenda elettronica), totalmente incapaci di ragionare (perché a ciò provvederà già il computer), derubati dell’imbarazzo angosciante del dover scegliere (perché le nostre macchine, ormai, lo faranno per noi), sprovvisti definitivamente di qualsiasi controllo sulle nostre pulsioni e di qualunque capacità di rispettar le regole (perché milioni di impedimenti elettronici avranno provveduto a prevenire a monte qualsiasi illegittimità), noi saremo definitivamente trasformati in oggetti. In quegli stupidi strumenti che, un tempo, eravamo noi a controllare.
E a quel punto, o il controllo elettronico su di noi saprà essere perfetto, assoluto, totalizzante, capace di determinare qualsiasi nostra azione e prevenir qualunque irregolarità, oppure, al primo baco nel sistema, ci scaglieremo addosso gli uni contro gli altri.
Sbranandoci ferocemente, senza pietà!
Pietro Ratto
Tratto dal Blog Bosco Ceduo
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