sabato 14 aprile 2012

Il "caro armato" e la kasta dei militari


Ma quanto ci costano le nostre Forze Armate? 
In tempo di crisi, questo settore non è investito dai tagli che pe-nalizzano, fino ad ammazzarlo, il nostro stato sociale. 
Dopo le due leggi finanziarie firmate dall’allora governo Pro-di, che hanno fatto lievitare le spese militari del 22% (portan-dole ad oltre 23 miliardi l’anno), quanti soldi sono arrivati alla Difesa?
Una risposta dettagliata e completa arriva nelle librerie con il libro di Massimo Paolicelli, leader storico dell’obiezione di coscienza e del movimento pacifista, e Francesco Vignarca coordinatore della Rete italiana per il Disarmo. Si chiama “Caro Armato” ed è pubblicato dalle Edizioni Altraeconomia, una garanzia assoluta d’indipendenza.
La crisi economica non ha investito il settore della Difesa!
E’ vero, spesso si sono sentite dichiarazioni vittimistiche del precedente ministro La Russa, che aveva esagerato le pretese: all’inizio del suo mandato aveva detto di voler portare il rapporto tra il bilancio del suo dicastero ed il Pil a 1,25, contro l’attuale 0,9. Tuttavia, nel solo 2010, le spese militari hanno pesato sui nostri esangui portafogli per oltre 23 milioni di euro: il nostro (povero) paese resta saldamente all’8° posto nella lista mondiale per spese militari, mentre collassano la sanità e il sistema giudiziario, mentre la cultura e l’istruzione vengono esplicitamente e senza vergogna mandate a farsi friggere dagli esponenti del governo in carica, mentre le nostre città profondano nel degrado.
Gino Strada sulle spese militari
I meandri delle tabel-le finanziarie, si sa, sono pieni di sorpre-se: Paolicelli e Vi-gnarca ci scavano dentro con la consa-pevolezza che il dia-volo sta nei partico-lari.
Lo stanziamento complessivo per la Difesa non subisce tagli effettivi: non c’è nessun crollo. Nessuna cura è prevista, dunque, per i vertici militari (una cifra per tutti, il nostro esercito professionale conta 190.000 uomini, un numero enorme, tra i quali 600 generali e ammiragli, 2.660 colonnelli e decine di migliaia di altri ufficiali). Anzi, il generale Roberto Speciale, ex comandante generale della Guardia di Finanza, quello assolto dai giudici per aver fatto condurre con un elicottero spigole fresche (la sua difesa ha avuto buon gioco nel dire che non era un pasto privato), da parlamentare del Pdl, presentò una proposta di legge per aumentare lo stipendio dei generali di corpo d’armata con cifre che vanno dal 50 al 75% in più di quello attuale.
A fronte di tutto questo, sui sistemi d’arma non sono previsti certo risparmi: anzi, vanno avanti a gonfie vele il progetto della portaerei Cavour e delle fregate FREMM (568 milioni di euro) o quello per la costruzione del faraonico cacciabombardiere Joint Strike Fighter (13 miliardi di euro).
Questi progetti, badate bene, sono finanziati ‘a debito’ e, cosa rilevantissima, rappresentano proprio ciò che è diventato il nostro sistema di difesa: un modello aggressivo, finalizzato ai conflitti ad alta intensità e con capacità di proiezione in profondità, nulla che sia mai stato discusso, inutile ricordarlo, in parlamento.
Un modello che non c’entra un bel niente con il peace keeping, parola usata ed abusata.
Infine, esiste un’invisibile, ma importantissima, questione che non è mai stata affrontata: il Ministero dello Sviluppo Economico prevede stanziamenti per la Difesa al di fuori della legge 436 (è del 1988 e ne regola l’approvvigionamento). Si tratta di soldi utilizzati in base a normative di settore e non sottoposte, dunque, all’esame preventivo delle Commissioni Difesa di Camera e Senato. L’utilizzo di questi fondi è deciso solo dai vertici militari e da quelli dell’industria: due zone contigue i cui rapporti sono sempre più stretti, tanto che molti alti ufficiali, alla fine della loro carriera, prestano la loro opera all’industria.
Un altro evidente, insopportabile, conflitto d’interesse di cui sarebbe bene che il nostro paese si liberasse al più presto. 

Dall’articolo di Stefania Limiti


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