I modelli educativi ed estetici della società
contemporanea pongono in evidenza una oscillazione comportamentale tra l’essere
“gregge” e l’essere “branco”. Tale aspetto risulta molto più evidente nei
giovani in quanto meno strutturati sul piano psichico. La differenza tra il
gregge e il branco sembra evidente: l’uno (il gregge) è destinato ad essere
‘vittimizzato’ dall’altro (il branco); il gregge rappresenta una massa chiusa
nel recinto delle convenzioni, mentre il branco mette in discussione ogni
convenzione vivendo di regole proprie a volte a scapito degli altri. Il gregge
è sinonimo di vigliaccheria e impotenza, mentre per il branco sembrerebbe
valere il contrario. In realtà stiamo parlando di due cose molto simili ed
accumunate dal medesimo sentimento: la Paura.
Ci troviamo innanzi a due modalità comportamentali differenti che
possiedono però lo stesso modello estetico. Quale potrebbe essere l’estetica
che accomuna il gregge al branco? Utilizzando i contributi della psicologia
clinica si potrebbe pensare all’estetica del gregge/branco come ad una reazione
contro-fobica all’abbandono e ad una paura dell’individuazione. Essere
individui implica anche la suggestione paranoide di essere individuati e
diventare visibili con le proprie fragilità e difetti. Sia il gregge che il
branco convergono verso la necessità di ‘mascherarsi’ in modo conformista per
passare inosservati: il gregge lo farà in modo “social” il branco in modo
“anti-social”.
Mimetizzarsi per vivere nel gregge o nel branco implica l’abnegazione della
propria soggettività e la costruzione di un Falso Se Collettivo che può portare
a delle conseguenze molto pericolose sul piano della salute fisica, mentale ed
emotiva. Una buona fetta di responsabilità va di certo attribuita al contesto
socio-culturale, familiare, scolastico, urbano e nazionale, che risulta essere
sempre più indefinito ed astratto e la cui tendenza è quella di attribuire ai
modelli etici sani una estetica noiosa, poco attraente e poco eccitante. Ne
deriva quindi la legittimazione indiretta di un’etica in cui tutto è ridotto ad
“oggetto di consumo”: relazioni, sentimenti, amore, ecc… tutto ciò con
l’aggravante che ogni cosa possa essere comprata, venduta o rubata e diventare
un possesso esclusivo dell’ego.
Nell’illusione di un possesso egocentrico della realtà si arriva alla
asservimento dell’Io che in una sorta di legge del contrappasso, diventa
prigioniero degli oggetti stessi. In una situazione in cui la persona diventa
dipendente da un oggetto, feticcio della sua libertà, l’appartenenza ad un
“gregge” o ad un “branco” diventa necessaria per metabolizzare la paura della
perdita simbolica delle propria autonomia, attraverso la perdita dell’oggetto.
Una tale situazione finisce con l’essere intollerabile e per questo deve essere
ricacciata fuori dall’orbita della coscienza: nel preconscio o proiettata
all’esterno. Nel primo (preconscio) caso possiamo avere come risultato un
comportamento da gregge nel secondo un comportamento da branco. Nel gregge
l’emarginazione diventa il fattore estetico da evitare, ma così facendo si
arriva anche all’esclusone di prospettive analitiche nuove e migliori, nel
branco invece l’emarginazione assume il ruolo di una reazione alla paura che si
esprime nella necessità di infrangere le regole.
L’estetica dell’emarginazione, come quella del degrado, presentano al loro
interno un’etica invertita disumanizzante e passivizzante, legata alla tutela
degli oggetti piuttosto che alle persone. Tale etica si rispecchia in una
estetica dell’impersonale che si muove nel “social”, ma che tende a sconfinare
nell’”anti-social” e nella necessità di annullare l’altro, credendo che sia
vantaggioso per l’Io; in realtà tale atteggiamento non fa altro che danneggiare
il soggetto che agisce in quel modo. Del resto è la società contemporanea che
propaganda una morale del consumo acritico che favorisce i comportamenti
gregari, fondati sul possesso, che determinano una libertà basata sulla
dipendenza (emotiva e comportamentale) da oggetti inanimati. Tutto questo viene
espresso poi in una affollata esteriorità, al di sopra di una interiorità
solitaria e misera.
Il destino del gregge e del branco è il medesimo, ossia è quello di
essere inconsapevolmente manipolati nella costante ricerca di un brand, di un
marchio, di un “come essere”, ma senza avere individuato un “perché”. Pensando
al marchio, la memoria va a quel passo dell’Apocalisse in cui il marchio della
Bestia era la garanzia del commercio… anche di anime. Inoltre è curioso
rilevare come nel Vecchio West americano fosse in uso chiamare i fuorilegge con
il soprannome di “The Brand” ossia il marchio che faceva riferimento alle
azioni predatorie contro il bestiame marchiato.
Occorre rendersi conto che essere liberi è doloroso e coloro che si
rifugiano nel gregge o nel branco tentano di sfuggire, invano, a questa
sofferenza e alla paura di una vera libertà fondata su aspetti etici ed
estetici.
Stefano Pica, “Gregge e
branco, schiavi dello stesso marchio”, dal blog del Movimento Roosevelt del 26 aprile 2018
Illustrazioni riprese dal web in quanto ritenute di pubblico dominio
in mancanza di annotazioni contrarie
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